In tema di responsabilità amministrativa da reato a carico degli enti, prevista dal D.Lgs. 231/2001, è pacifico che la stessa possa sorgere solo qualora un dipendente/apicale della società commetta un reato nell’interesse o a vantaggio della stessa.
Da ciò deriva, nella maggior parte dei casi, che all’ente venga contestato il reato in un diverso processo collegato a quello della persona fisica o, ancora, nel medesimo procedimento penale.
Tuttavia, vien da chiedersi quali siano le sorti dell’ente imputato laddove la persona fisica autrice del reato decida di “patteggiare” la pena ai sensi degli artt. 444 e ss. c.p.p. e se tale sentenza di patteggiamento possa incidere sulla valutazione della responsabilità della società.
A tale quesito ha dato risposta la giurisprudenza, da ultimo con Cass. pen., Sez. VI, sent. 21 giugno 2024, n. 24721, relativa ad un procedimento penale a carico di una società imputata in forza del reato contestato al legale rappresentante, il quale avrebbe commesso fatti di corruzione per agevolare proprio la società da lui rappresentata.
Nello specifico, nell’ambito del procedimento penale, il legale rappresentante decideva di concordare la pena con la Pubblica Accusa. All’esito del procedimento penale a carico dell’ente, lo stesso veniva condannato dal Tribunale e la sentenza veniva confermata dalla Corte di Appello di Roma.
I Giudici di merito indicavano l’ente responsabile ai sensi del D.Lgs. 231/2001 per il delitto di corruzione proprio in forza della sentenza di patteggiamento applicata a carico del legale rappresentante della società.
Gli ermellini, rigettando il ricorso proposto dalla società avverso la sentenza di secondo grado, hanno ritenuto che il patteggiamento del legale rappresentante potesse costituire un elemento di prova a carico dell’ente imputato, atteso che la sentenza di applicazione della pena concordata dalla persona fisica poteva essere acquisita ai sensi dell’art. 238 c.p.p. Sul punto si legge nella sentenza pronunciata dalla Suprema Corte: “tale conclusione (…) deriva dalla equiparazione espressa alla sentenza di condanna, contenuta nell’art. 445 cod. proc. pen. Né su tale profilo normativo ha inciso la recente modifica apportata all’art. 445 cit. dal d.lgs. n. 150 del 2022 che ha ivi introdotto il comma 1 bis secondo il quale “se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di legge, diverse da quella penale, che equiparano la sentenza prevista dall’art. 444 comma 2 cod. proc. pen. alla sentenza di condanna”; in riferimento alla valenza penale di dette pronunce, e in specie ai fini all’art. 238 bis cod. proc. pen., nulla è dunque cambiato. Inoltre, la sentenza di “patteggiamento” integra un accertamento penale, seppur fondato sugli atti delle indagini preliminari le cui risultanze non vengono contestate dall’imputato; e proprio per tale ragione la sentenza di patteggiamento deve considerarsi compatibile con i principi della Costituzione”.