Tra le fattispecie di reato più modificate dal legislatore negli ultimi anni rientra sicuramente il delitto di abuso d’ufficio, previsto dall’art. 323 del Codice penale.
La ratio della norma è chiara: da un lato, tale norma (unitamente agli ulteriori delitti previsti dagli artt. 314 e ss c.p.) è volta a garantire il buon andamento della P.A. Dall’altro lato, il delitto di abuso d’ufficio è finalizzato ad arginare possibili atti o comportamenti prevaricativi del pubblico ufficiale (o dell’incaricato di pubblico servizio) che potrebbero essere adottati o tenuti nei confronti dei privati.
Negli ultimi anni, il legislatore ha più volte modificato la fattispecie. Ciò al fine di restringere l’ambito applicativo della norma e così garantire una maggiore “libertà d’azione” della P.A. (cercando, dunque, di aumentare l’efficienza dell’apparato burocratico).
Da ultimo, la Camera ha approvato con modifiche il disegno di legge proposto dal Governo e già approvato dal Senato (denominato, appunto DDL “Nordio”) con cui è stata proposta l’abrogazione tout court del delitto di abuso d’ufficio.
Il DDL approvato dalla Camera prevede inoltre la modifica del delitto di traffico di influenze illecite, punito dall’art. 346 bis c.p., al fine di restringerne l’ambito di applicazione.
Laddove il Senato dovesse avallare il testo appena approvato dalla Camera, il nuovo art. 346 bis c.p. prevederebbe la punizione di colui che sfrutti le proprie relazioni effettivamente esistenti con un pubblico (a fronte dell’attuale formulazione, che punisce anche colui che si limiti a vantare, e quindi non sfruttare, delle relazioni con un pubblico ufficiale, ancorché inesistenti).
Il DDL Nordio approvato dalla Camera prevede poi che possano trovare applicazione anche con riferimento al delitto di traffico di influenze illecite la circostanza attenuante prevista dall’art. 323 bis c.p. e la causa di non punibilità prevista dall’art. 323 ter c.p.
La prima consiste in una diminuzione della pena per il reo in caso di particolare tenuità del fatto ovvero quando egli si sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori.
La causa di non punibilità prevista dall’art. 323 ter c.p. si applica invece al reo che denuncia volontariamente il reato, purché ciò avvenga prima che lo stesso scopra che vi sono indagini a suo carico e, comunque, entro 4 mesi dalla data di commissione del reato.
La “palla” passa quindi nuovamente al Senato, che dovrà valutare il disegno di legge appena approvato dalla Camera dei Deputati.