27.09.2023 Icon

Mancata mediazione: effetti dell’improcedibilità

Quando la mediazione è disposta dal giudice, ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 1 e 1 bis, la mancata ottemperanza a tale invito determina l’improcedibilità della domanda ab initio svolta e non dell’eventuale impugnazione, incidendo definitivamente sull’azione originaria e non sulla fase processuale.

Un intermediario finanziario, convenuto in giudizio dal cliente, sollevava tempestivamente eccezione di improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatorio. Poiché il Giudice di primo grado non si pronunciava sul punto, la doglianza veniva riproposta in appello e qui veniva accolta con conseguente dichiarazione di inammissibilità dell’azione.

Il cliente ricorreva, pertanto, in Cassazione affermando che il giudice di secondo grado aveva errato, perché aveva rimesso la causa sul ruolo e disposto la mediazione (poi non avviata da nessuna delle parti), nonostante il giudizio fosse ormai in fase di decisione, essendosi già tenuta l’udienza di precisazione delle conclusioni.

La Corte di Cassazione, esaminata la fattispecie, in primo luogo ha ricordato che, in tema di mediazione obbligatoria, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda, “ma l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza; ove ciò non avvenga, il giudice d’appello può disporre la mediazione, ma non vi è obbligato, neanche nelle materie indicate dallo stesso art. 5, comma 1-bis, atteso che in grado d’appello l’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda solo quando è disposta discrezionalmente dal giudice, ai sensi dell’art. 5, comma 2 (Sez. 3, n. 25155 del 10 novembre 2020)”.

Dunque, la scelta di rimettere il processo alla fase istruttoria costituisce una decisione di mera opportunità, che riporta il giudizio al momento antecedente la precisazione delle conclusioni, nel quale il giudice d’appello ben può esercitare il rilievo d’ufficio. La Cassazione, ha quindi aggiunto, che  “l’inciso del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2 (“L’invito deve essere rivolto alle parti prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa”) costituisce una norma di disciplina e regolamentazione dello svolgimento dell’udienza e senza dubbio non prevede una nullità processuale”.

Tanto chiarito, la Suprema Corte ha osservato che, nel caso di mancato previo esperimento della procedura di mediazione, le conseguenze negative devono ricadere sulla parte che avrebbe avuto interesse a coltivare l’azione. Infatti, “pur essendo l’invito del giudice rivolto a tutte le parti del giudizio, è chiaro che la figura processuale interessata ad attivarsi è quella che avrebbe dovuto, in limine litis, provvedervi e che, pertanto, può risentire effetti pregiudizievoli dalla mancata ottemperanza a tale invito. (…) Ed allora è evidente che la carenza della condizione di procedibilità non può che ridondare a carico dell’originaria attrice, senza che possa avere un qualche rilievo la fase processuale, nel corso della quale l’ordinanza è stata comunicata. In altri termini, il giudice di appello – come gli consentiva la legge – si è sostituito al giudice di pace per colmare una lacuna presente già dal primo grado. La mancata esecuzione del procedimento ha cristallizzato definitivamente l’improcedibilità dell’azione e non dell’impugnazione”.

Tale conclusione è del resto conforme alla ratio della decisione assunta dalle Sezioni Unite in tema di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, che ha posto l’onere di promuovere la procedura di mediazione a carico della parte opposta, benché il giudizio sia stato promosso dall’opponente.

Autore Simona Daminelli

Partner

Milano

s.daminelli@lascalaw.com

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