Con il provvedimento in commento, il Tribunale di Napoli Nord è stato chiamato a decidere in ordine ad un’istanza di riduzione del pignoramento immobiliare promossa da parte debitrice ed ha chiarito tre aspetti focali relativi alla proposizione della stessa nei giudizi esecutivi.
Invero il Tribunale dapprima ha analizzato, ai fini dell’accoglimento dell’istanza di riduzione, la circostanza che il cespite pignorato costituisse abitazione principale degli esecutati.
In secondo luogo si è soffermato sull’opportunità di operare detta riduzione in termini economici, in considerazione dei crediti da soddisfare e delle spese di procedura da recuperare.
In ultimo si è soffermato sul termine entro il quale l’istanza possa essere proposta.
Con riferimento alla prima delle tre questioni, quella afferente alla circostanza che l’immobile costituisca abitazione principale degli esecutati, il Giudice dell’Esecuzione ha precisato che “alcuna rilevanza può essere ascritta alla circostanza che taluni degli immobili pignorati siano adibiti ad abitazione principale dei debitori”.
Nella parte motiva del proprio provvedimento il Giudice ha chiarito che il legislatore ha già adottato un contemperamento tra i due interessi in gioco- il diritto all’abitazione del debitore ed il diritto del creditore di veder soddisfatto il proprio credito- concedendo all’esecutato la possibilità di permanere all’interno dell’immobile sino alla conclusione del procedimento liquidatorio.
Tale diritto viene negato, ai sensi dell’art. 560 c.p.c., nella sola ipotesi in cui il debitore non si dimostri collaborativo e ponga in essere degli atteggiamenti ostativi alla vendita del bene quali, a titolo esemplificativo, interdire l’accesso agli ausiliari chiamati a redigere la perizia, a far visionare l’immobile ai potenziali acquirenti etc.
Il Giudice dell’Esecuzione ha ben rammentato che il diritto all’abitazione dell’esecutato è stato altresì ulteriormente e maggiormente tutelato durante la fase pandemica allorquando, ai sensi dell’art. 54 ter d.l. n. 18/2020, si è cercato di tutelare il diritto del debitore a permanere all’interno della propria abitazione in una fase in cui perderla avrebbe potuto rappresentare un aggravio davvero insostenibile per quest’ultimo.
L’organo decidente ha ricordato come, in tale ipotesi, il diritto all’abitazione sia stato ritenuto preminente rispetto a quello del creditore di veder soddisfatto il proprio credito e ciò sebbene, come ricordato nella stessa pronuncia, successivamente la Corte Costituzionale abbia ritenuto incostituzionali le disposizioni emergenziali anzi richiamate, interdicendo così ulteriori eventuali proroghe.
Ritenuto pertanto che l’istanza di riduzione del pignoramento non avrebbe potuto essere accolta solo in virtù del fatto che il cespite esecutato costituisse abitazione principale dell’esecutato, il Giudice ha analizzato un altro fondamentale aspetto: quello relativo all’opportunità di operare detta riduzione in termini economici, in considerazione dei crediti da soddisfare e delle spese vive della procedura da coprire, considerato il valore economico dell’immobile.
Invero il Giudice ha rammentato che, affinché l’istanza possa essere accolta, deve sussistere una sproporzione, emergente dalla perizia di stima, tra il valore dei beni e l’importo del credito azionato in via esecutiva ma tenendo altresì conto di quattro importanti fattori: “a) dell’importo del credito azionato in executivis, cui vanno aggiunti gli interessi e le spese di procedura, onde si tratta di una somma suscettibile di sensibile incremento con il decorso del tempo (ed invero già sensibilmente lievitata per i costi di procedura già anticipati dal creditore) che presumibilmente occorrerà per portare a compimento la presente procedura; b) della circostanza che potrebbero intervenire altri creditori; c) della possibilità che i beni non siano venduti al prezzo di stima ma ad un valore ribassato, possibilità- questa- tanto più concreta, se si considera la possibilità di presentare offerta minima, in ribasso rispetto al prezzo già ribassato; d) della circostanza che, nella vendita per lotti, l’art. 504 c.p.c (cui il PD è tenuto ad attenersi) prevede un meccanismo di salvaguardia per evitare che la vendita forzata possa pervenire ad esiti sproporzionati.
Compito dell’organo decidente è quello di valutare la sussistenza di tali fattori onde evitare che la riduzione del pignoramento possa danneggiare il creditore procedente ed i creditori iscritti.
In ultimo il Giudice dell’Esecuzione ha analizzato l’aspetto relativo al limite temporale entro il quale l’istanza possa essere, in generale, promossa.
L’organo decidente ha chiarito come, secondo la tesi prevalente, “non vi sia una preclusione che matura con il compimento della fase c.d. preliminare (dal pignoramento all’udienza ex art. 569 c.p.c.) onde la riduzione sarebbe possibile fino all’aggiudicazione provvisoria del bene ciò, pur nella considerazione degli argomenti posti a sostegno della tesi contrapposta, è condivisibile non foss’altro che per il chiaro disposto dell’art. 152 c.p.c. che osta alla individuazione di decadenza praeter legem”.
Ciò premesso, il Giudice ha precisato come, di fatto, l’istanza di riduzione difficilmente possa trovare accoglimento quando sia iniziato il procedimento liquidatorio in quanto, in tale fase, maturano delle spese “da anticiparsi da parte del creditore che, quindi, andranno a gravare sul ricavato della vendita, cosicché la sproporzione tra quanto ricavabile dalla vendita del bene e quanto occorrente a soddisfare integralmente il creditore (anche riguardo alle spese anticipate) rappresenta allo stato una prospettiva vieppiù remota”.
Il Giudice, dopo aver analizzato le due questioni anzi dibattute ha infine chiarito e rammentato che l’accoglimento dell’istanza di riduzione è rimesso ad una valutazione discrezionale del G.E., costituendo lo stesso un rimedio di opportunità e, pertanto, ritenuti insussistenti i profili idonei ad accoglierla, ha rigettato l’istanza e disposto la prosecuzione del procedimento esecutivo.