Il Decreto “Rilancio” ha istituito numerose agevolazioni fiscali in favore dei soggetti colpiti dalla crisi economica conseguente all’emergenza sanitaria da Covid-19. Tali agevolazioni si sono aggiunte a quelle già introdotte con il Decreto “Cura Italia” e con il Decreto “Liquidità”.
Tra gli interventi più significativi figurano le detrazioni fiscali al 110% (c.d. “Superbonus”) per lo svolgimento di determinati interventi edilizi elencati all’art. 119, 1° c., e all’art. 121, 2° c., d.l. 34/2020, interventi essenzialmente di ristrutturazione e di efficientamento energetico degli edifici.
Secondo quanto previsto dall’art. 119, 9° c., d.l. 34/2020, tali misure fiscali sono usufruibili dai condomìni, dalle persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arti e professioni, su unità immobiliari (salvo quanto previsto al successivo comma 10), dagli Istituti autonomi case popolari (c.d. IACP), dalle cooperative di abitazione a proprietà indivisa, dalle ONLUS e dalle associazioni e società sportive dilettantistiche, laddove possiedano l’immobile oggetto dell’intervento in base a un titolo idoneo al momento dell’avvio dei lavori, o al momento di sostenimento delle spese se antecedente.
La ratio di tale previsione è, evidentemente, quello di stimolare la creazione di nuovo lavoro per gli operatori dell’edilizia, incoraggiando al contempo il recupero degli edifici esistenti e il miglioramento delle prestazioni energetiche.
Al fine di accentuare i suddetti obiettivi, il Decreto Rilancio, all’art. 121, 1° c., lett. b, prevede altresì la possibilità per i titolari di cedere il proprio credito d’imposta, «con facoltà di successiva cessione ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari».
La disciplina della cessione del credito d’imposta costituisce lex specialis rispetto a quella generale della cessione del credito di cui all’art. 1260 c.c.. Questo istituto, che trae spunto dalla normativa in materia di “ecobonus” e “sismabonus” di cui agli artt. 14 e 16 del d.l. 4 giugno 2013, n. 63, può rivelarsi conveniente sia per chi non avrà un debito d’imposta abbastanza consistente per usufruire integralmente della detrazione (ai sensi dell’art. 119, c. 1, infatti, il bonus è usufruibile in cinque quote annuali di pari importo, mentre, secondo il par. 4 della circolare n. 24/E dell’Agenzia delle Entrate, la parte di detrazione utilizzata nell’anno non può essere recuperata), ma anche per coloro che, pur potendo avvalersi della detrazione con le modalità ordinarie, preferiscano convertire fin da subito il credito in denaro.
Tale previsione viene approfondita nel par. 7 della direttiva 24/E, esplicativa dell’art. 121 del Decreto Rilancio, la quale stabilisce che «La cessione può essere disposta in favore: − dei fornitori dei beni e dei servizi necessari alla realizzazione degli interventi; − di altri soggetti (persone fisiche, anche esercenti attività di lavoro autonomo o d’impresa, società ed enti); − di istituti di credito e intermediari finanziari».
Ciò che colpisce dell’art. 121 in discorso è la vastità del novero dei possibili cessionari, che possono essere, addirittura, pure le persone fisiche. In questo modo il legislatore intende, con tutta evidenza, offrire un ulteriore incentivo all’utilizzo delle misure di cui all’art. 119, favorendo la creazione di un vero e proprio mercato secondario per tali crediti di imposta.
Occorre, tuttavia, comprendere entro quali limiti possa operare in concreto una simile apertura.
Infatti, in linea di principio, l’acquisto di crediti di imposta costituisce attività finanziaria, permettendo al cedente di incassare il controvalore del credito in anticipo anziché utilizzare direttamente la detrazione secondo le tempistiche di legge. In questo senso depone anzitutto l’art. 2, 1° c., lett. b, decr. Mef 53/2015, che include tra le attività di concessione di finanziamenti «l’acquisto di crediti a titolo oneroso». Allo stesso modo, le Istruzioni della Banca d’Italia per la rilevazione dei t.e.g.m. ai sensi della legge sull’usura, individuando le operazioni di finanziamento oggetto di rilevazione, elencano anche «le operazioni di finanziamento poste in essere sulla base di un contratto di cessione del credito ex art. 1260 c.c. diverse dal factoring» (lett. b, cat. 2).
Come noto, l’art. 106, 1° c., T.U.B., prevede che l’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma è riservata agli intermediari finanziari autorizzati se effettuata «nei confronti del pubblico», vale a dire se viene svolta professionalmente.
Si capisce, quindi, la necessità di coordinare la previsione dell’art. 121, 1° c., del Decreto Rilancio (laddove stabilisce che chiunque può acquistare il descritto credito d’imposta) con l’art. 106, 1° c., T.U.B., che prevede che l’esercizio professionale di attività di finanziamento possa essere effettuato unicamente dagli intermediari finanziari autorizzati. In altri termini, occorre comprendere se la previsione del Decreto Rilancio possa o meno trovare applicazione anche nei casi in cui l’attività di finanziamento sia esercitata professionalmente, consentendo di ritenere totalmente liberalizzata l’acquisto di quei particolari crediti d’imposta.
Si tratta di un interrogativo da cui derivano, evidentemente, conseguenze pratiche divergenti, su cui neppure l’Agenzia delle Entrate ha potuto (o voluto) prendere posizione (cfr. risposta all’interpello n. 369/2021).
Seguendo un’interpretazione letterale, che l’acquisto dei crediti d’imposta in discorso dovrebbe essere liberalizzato indipendentemente dal fatto che l’acquirente svolga o meno quell’attività in via professionale. Infatti, l’art. 121 del Decreto Rilancio nulla specifica in merito al criterio della professionalità e, del resto, un’interpretazione siffatta rafforzerebbe l’intento del legislatore di stimolare la circolazione di questi crediti.
Nondimeno, tale soluzione appare senz’altro scoraggiata se si preferisse accogliere un’interpretazione di carattere sistematico. Infatti, ritenere totalmente liberalizzato l’acquisto dei crediti in discorso con carattere di professionalità non comporterebbe una deroga solamente dell’art. 106 T.U.B., ma anche di tutta la normativa applicabile per gli intermediari finanziari, funzionale ad assicurare particolari esigenze di tutela del sistema economico e finanziario, quasi tutte pure di derivazione eurounitaria. Per esempio, si pensi alle previsioni sulla vigilanza (cfr. art. 108 T.U.B.), oppure a tutti gli obblighi che il titolo VI del T.U.B. impone in merito alla trasparenza delle operazioni contrattuali.
Allo stesso modo, si pensi anche a tutti gli obblighi derivanti dal d.lgs. 231/2007 in materia di antiriciclaggio, stanti i limiti soggettivi che l’art. 3 descrive. Verrebbe derogata, poi, la normativa della Banca d’Italia in materia di Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari (su tutti, il Provvedimento del 29 luglio 2009 e s.m.i.). Del pari, non troverebbe applicazione neppure la normativa antiusura, consistente nelle sopra richiamate Istruzioni della Banca d’Italia.
E verrebbe derogato, infine, il principio della sana e prudente gestione che, riportato all’art. 107, 2° c., T.U.B., costituisce un principio generale che sottintende all’esercizio di qualunque attività finanziaria.
In altre parole, accogliendo la tesi della totale liberalizzazione, le banche e gli intermediari finanziari già iscritti all’albo dell’art. 106, 1° c., T.U.B., non avrebbero alcuna convenienza ad acquistare direttamente i crediti in oggetto, dovendo sottostare a una serie di obblighi che soggetti meno strutturati (financo persone fisiche) non dovrebbero seguire.
Accogliendo l’interpretazione letterale, poi, si arriverebbe ad ammettere che mentre chi acquistasse il credito non sarebbe soggetto ad alcun controllo o autorizzazione, chi svolgesse una semplice attività di agenzia (ex art. 128 quater T.U.B.) o di mediazione (ex art. 128 sexies T.U.B.) dovrebbe comunque essere iscritto negli elenchi previsti dalle disposizioni di riferimento e sottostare alla relativa disciplina, pur trattandosi di mere attività ausiliarie e complementari all’acquisto.
In definitiva, sulla materia sembra trapelare un contrasto interpretativo che, senza un intervento chiarificatore del legislatore o di un’autorità amministrativa, rischierebbe di ostacolare l’applicazione delle commentate previsioni del Decreto Rilancio, nonostante le richiamate esigenze sociali sottostanti. Infatti, al momento, se si volesse risolvere la problematica esposta accogliendo la tesi della liberalizzazione massima, l’operatore economico (che non sia già una banca o un intermediario finanziario) resterebbe esposto alle sanzioni di cui all’art. 132 T.U.B. nel caso in cui una futura disposizione accogliesse la soluzione opposta, scoraggiandolo all’acquisto dei crediti in analisi. Viceversa, se lo stesso operatore economico volesse in ogni caso cautelarsi e iscriversi all’albo di cui all’art. 106, 1° c., T.U.B., dovrebbe obbedire a tutte le condizioni che lo stesso Testo Unico impone a proposito (cfr. art. 107 T.U.B.), oltre ad affrontare i tempi e i costi che l’iscrizione a tale albo richiede.
Simone Mascelloni – s.mascelloni@lascalaw.com
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