La tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro è un principio cardine dell’ordinamento, che impone al datore obblighi inderogabile di prevenzione e tutela dei propri dipendenti. Gli infortuni sul lavoro, oltre a rappresentare un problema significativo per la salute pubblica, generano conseguenze gravi e durature: compromettono la salute della persona, danneggiano le imprese e gravano sull’intera collettività, sia sotto il profilo economico che sociale.
L’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro stima che circa il 90% degli incidenti sia riconducibile all’errore umano. A ciò si aggiungono, a monte, carenze organizzative, una formazione insufficiente dei lavoratori e, non di rado, sistemi di prevenzione inefficaci o del tutto assenti.
Per contrastare questi rischi, diventa fondamentale il ruolo del datore di lavoro, su cui il legislatore – con il D. Lgs. 81/2008, cosiddetto Testo Unico sulla Sicurezza – ha posto specifici obblighi di valutazione, prevenzione e protezione dei lavoratori al fine di garantire la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Proprio sul tema della responsabilità datoriale la Corte di Cassazione con sentenza Cass. pen., Sez. IV, Sent. 22 aprile 2025, n. 15694 ha affrontato il caso emblematico di un operaio rimasto gravemente ferito dopo essere precipitato durante operazioni di bonifica all’interno di un’area pericolosa della propria azienda, priva di adeguati dispositivi di protezione.
La pronuncia ha offerto lo spunto per riflettere sulla questione cruciale del concorso tra la responsabilità del datore di lavoro in caso di infortunio e la condotta imprudente del lavoratore.
Nel caso deciso dalla Corte, infatti, il datore di lavoro imputato aveva evidenziato ai Giudici che l’operaio avrebbe agito di propria iniziativa, svolgendo mansioni non assegnate. Una condotta, dunque, trasgressiva e — secondo la difesa — idonea a interrompere il nesso causale tra l’omissione datoriale e l’infortunio.
Gli ermellini hanno tuttavia respinto questa tesi, riaffermando un principio ormai consolidato dalla giurisprudenza secondo cui “l’interruzione del rapporto di causalità, sebbene in costanza della condotta imprudente del lavoratore, non si realizza quando, come nella specie, il sistema di sicurezza apprestato dal Datore di lavoro presenti delle evidenti criticità”.
La responsabilità penale del datore di lavoro, dunque, non viene elisa dalla condotta del dipendente, salvo che il comportamento del lavoratore sia qualificabile come abnorme, ossia del tutto estraneo alle mansioni affidate, imprevedibile e non riconducibile al ciclo produttivo. Circostanze che, secondo gli ermellini, non si configuravano nel caso deciso dalla Cassazione.
La pronuncia ribadisce la funzione essenzialmente preventiva della normativa antinfortunistica, che impone al datore di adottare ogni misura idonea a impedire comportamenti pericolosi, anche se posti in essere dagli stessi lavoratori.