Con il dichiarato intento di ridurre il carico dei Tribunali ordinari, la riforma Cartabia (L. n. 199/2022, di conversione del D.L. n. 150/2022) ha introdotto numerose misure deflattive della giustizia penale. Su tutte, spiccano per rilevanza e incisività quelle in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova, istituto che, per bocca del legislatore,“contribuisce a ridurre la durata media del processo e riveste, pertanto, una importanza strategica rispetto agli obiettivi del P.N.R.R. e di efficienza complessiva” (Rel. Illustrativa, p. 303).
Come noto, la “messa alla prova” (artt. 168-bis c.p. e 464-bis ss. c.p.p.) consente, in estrema sintesi, la sospensione del procedimento penale e lo svolgimento di un programma di trattamento, consistente in un lavoro di pubblica utilità e in altre prescrizioni disposte dall’Autorità Giudicante. L’esito positivo della prova ha il rilevante effetto di estinguere il reato.
La riforma Cartabia ha mutato la disciplina dell’istituto lungo tre direttrici: l’ampliamento del catalogo dei reati per i quali esso è ammesso; l’espansione dei poteri del Pubblico Ministero; l’estensione della disciplina, entro limiti temporali stringenti, anche ai processi in corso.
Il riformato art. 168-bis c.p. prevede che la messa alla prova possa essere richiesta non solo per i reati puniti entro il massimo edittale di quattro anni di pena detentiva (termine immutato) ma anche “per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale”, per l’occasione profondamente rivisto ed ampliato.
Sono oggi estinguibili mediante messa alla prova, a titolo esemplificativo, i delitti di violenza o minaccia e resistenza a pubblico ufficiale (artt. 336-337 c.p.), l’istigazione a delinquere (art. 414 c.p.), alcune fattispecie di contraffazione e di false dichiarazioni (artt. 468, 495, 495-ter e 496 c.p.), le lesioni personali stradali gravi o gravissime (art. 590bis c.p.), la truffa aggravata (art. 640 c.2. c.p.), il fraudolento danneggiamento dei beni assicurati (642 c.p.)
L’ampia estensione del catalogo non comporterà tuttavia l’automatica applicazione dell’istituto. Infatti, sull’intero processo grava l’immutato potere del giudice di valutare l’idoneità del programma e la futura astensione dell’imputato dalla commissione di altri reati (art. 464-quater c.p.). Un simile giudizio è già oggi tanto più severo quanto più “grave” sia il caso concreto: pertanto, almeno in una prima fase, è lecito attendersi un’introduzione graduale in settori distanti dal tradizionale ambito applicativo della messa alla prova.
Il neo-introdotto art. 464-ter.1 dispone che “Il pubblico ministero, con l’avviso previsto dall’articolo 415 bis, può proporre alla persona sottoposta ad indagini la sospensione del procedimento con messa alla prova, indicando la durata e i contenuti essenziali del programma trattamentale […] entro il termine di venti giorni, la persona sottoposta ad indagini può aderire alla proposta con dichiarazione resa personalmente o a mezzo di procuratore speciale, depositata presso la segreteria del pubblico ministero”.
Si tratta di una previsione inedita, che attribuisce al P.M. un ruolo d’impulso nella scelta del rito deflattivo fin dalle indagini preliminari.
Tale ipotesi si distingue nettamente dalla già prevista ed immutata “sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso delle indagini preliminari” (art. 464-ter c.p.p.) per due ordini di ragioni:
- nella disciplina preesistente l’elaborazione del programma è, almeno teoricamente, successiva alla presentazione della richiesta. Nella nuova disciplina, al contrario, il P.M. indica già nell’avviso ex art. 415-bis c.p.p. “la durata e i contenuti essenziali del programma trattamentale”
- la nuova disciplina prevede l’iniziativa del Pubblico Ministero e l’adesione dell’indagato, laddove la prima richiede all’indagato di presentare la richiesta e al P.M. di prestare consenso scritto o dissenso, parimenti scritto e motivato.
Bene tuttavia precisare come le ipotesi non siano alternative. Al contrario, la loro coesistenza evidenzia ulteriormente il favor del legislatore per l’istituto. Anche all’esito di una richiesta respinta, il Pubblico Ministero potrebbe ritornare sui suoi passi, formulando la proposta di programma (ferma ad ogni modo la riproponibilità dell’originaria richiesta da parte dell’imputato prima dell’apertura del dibattimento di primo grado).
Da ultimo, la riforma estende i propri effetti anche ai procedimenti in corso, in manifestazione del massimo sforzo deflattivo della giustizia penale. In via eccezionale, in deroga ai normali termini di legge, la messa alla prova potrà essere richiesta nei procedimenti già pendenti, anche in appello, purché ne ricorrano le altre condizioni.
La richiesta deve essere presentata alla prima udienza utile dopo il 30 dicembre 2022 e, comunque, entro 45 giorni da tale data. Di fatto, il 13 febbraio 2023 è l’ultimo momento in cui, con dichiarazione scritta o orale in udienza o depositata in cancelleria, l’imputato o il procuratore speciale possono affermare la volontà di avvalersi di una simile chanceprocessuale.
Nata come esperimento di probation anglosassone nell’ordinamento italiano, la messa alla prova ha goduto di indubbio favore nel corso degli anni, data l’applicabilità ad un ampio ventaglio di fattispecie e l’effetto estintivo del reato in caso di esito positivo. In tale ottica, le modifiche introdotte dalla riforma Cartabia manifestano la volontà del legislatore di rendere ancor più diffusa la messa alla prova; nondimeno, il giudizio preliminare sulle novità legislative non può essere univoco.
Difatti, se l’estensione del catalogo dei reati è da salutarsi con indubbio favore, solo il tempo potrà rivelare se la richiesta del P.M. all’esito delle indagini preliminari diverrà una comune metodologia deflattiva del procedimento penale o se, al contrario, gli Uffici di Procura avranno difficoltà a farsi carico di tale ulteriore adempimento.
È infatti indubbio che l’elaborazione dei contenuti del programma di trattamento e l’interlocuzione con l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna – vero e proprio tramite tra il Tribunale e le realtà sociali in cui la messa alla prova viene svolta – siano ad oggi affidati, in via pressoché esclusiva, all’imputato e al suo difensore. L’effettiva presa in carico di tali attività anche da parte dei Pubblici Ministeri non appare scontata: solo il monitoraggio costante potrà dire se la nuova ipotesi di cui all’art. 464-ter.1 sia stata una felice intuizione o sia destinata a rimanere “lettera morta”.