28.04.2025 Icon

I veicoli abbandonati sono rifiuti pericolosi? Sì, a determinate condizioni

Sono ormai decenni che il legislatore nazionale – e, prima ancora, sovrannazionale – ha introdotto una stringente normativa in materia ambientale, ponendo tra i primari obiettivi dello Stato quello della tutela del territorio, del paesaggio, della biodiversità e, più in generale, dell’ecosistema. Proprio tali beni sono stati recentemente protagonisti di una modifica dell’art. 9 della Costituzione.

Sotto il profilo della legislazione ordinaria, il cardine della normativa ambientale è costituito dal D.Lgs. 152/2006 (c.d. “Codice dell’Ambiente”), il quale prevede anche sanzioni penali specifiche in tema di illecita gestione dei rifiuti.

Proprio in tema di gestione di rifiuti si è recentemente espressa la Suprema Corte di Cassazione (con Cass. pen., Sez. III, Sent. 7 aprile 2025, n. 13282), in un caso che ha permesso agli ermellini di definire meglio la nozione di “rifiuto pericoloso” riguardo ai veicoli giunti a “fine vita” e destinati ad essere smaltiti.

Il caso deciso dalla Corta riguarda una condanna pronunciata dal Tribunale di Cagliari in relazione al reato di gestione non autorizzata di rifiuti pericolosi, previsto dall’art. 256, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 152/2006, emessa a carico di un soggetto che aveva depositato in un area comunale un veicolo datogli da terzi per essere smaltito. Condanna poi impugnata dall’imputato.

Ebbene, secondo gli ermellini – che hanno confermato la precedente condanna pronunciata dal Tribunale – l’attività di autoriparazione, smaltimento o gestione dei veicoli a fine vita comporta rilevanti responsabilità, sia penali che amministrative.

Detta attività, laddove svolta in assenza delle specifiche autorizzazioni amministrative, integra poi il reato di gestione di rifiuti pericolosi quando il reo non provveda a rimuovere con le dovute accortezze le componenti pericolose contenute nel mezzo (quali olii, carburante e liquidi refrigeranti).

Proprio la presenza di dette componenti potenzialmente inquinanti nel veicolo ha permesso alla Suprema Corte di qualificare il mezzo ormai giunto a fine vita come “rifiuto pericoloso”.

Nello specifico, si legge nella sentenza della Cassazione: “i veicoli fuori uso sono classificati come rifiuti pericolosi (codice CER/EER 160104) sia ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997 che del vigente D.Lgs. 152 del 2006, allorché non siano stati bonificati mediante l’eliminazione dei materiali inquinanti. Peraltro, vanno qualificati come veicoli fuori uso e pertanto rifiuti, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. b), del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, i veicoli a fine vita, indipendentemente dal fatto che gli stessi siano ancora muniti di targa, di cui il detentore si sia disfatto ovvero abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi. Inoltre, affinché un veicolo dismesso possa considerarsi rifiuto pericoloso è necessario non solo che esso sia fuori uso, ma anche che contenga liquidi o altre componenti pericolose, perché altrimenti esso rientra nella categoria classificata con il codice CER/EER 16.01.06. In generale, un autoveicolo contiene elementi e sostanze liquide necessari al suo funzionamento (ad es. combustibile, batteria, olio motore, liquidi refrigeranti), la cui rimozione viene effettuata tramite operazioni complesse che comportano anche l’ impiego di particolari attrezzature per lo smontaggio e che richiedono competenze tecniche specifiche. Una volta rimossi, i liquidi e le componenti non più utilizzabili dovranno essere gestiti come rifiuti”.

Appare opportuno evidenziare che in sede penale ben potrebbe essere punita anche la mera errata gestione dei veicoli giunti a fine vita e ancora dotati delle componenti inquinanti, atteso che il reato previsto dall’art. 256, comma 1, lett. b) del Decreto ha natura contravvenzionale.

Contravvenzione che può essere punita dall’ordinamento sia qualora l’imputato abbia agito a titolo di dolo, sia a titolo di colpa.

Autore Stefano Gerunda

Lateral Partner

Milano

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Autore Andrea Caprioglio

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