15.03.2023 Icon

ESG: come devono essere gestiti gli aspetti ambientali?

La genesi dei principi ESG è lontana nel tempo: esattamente nel 2006, quando l’ONU, il cui segretario generale era Kofi Annan, propose gli “UN-PRI – United Nations Principles for Responsible Investments” per promuovere la diffusione dell’investimento socialmente responsabile fra gli investitori di ogni paese. Si legge, nel sito web dedicato agli “UN-PRI”, che “the six Principles for Responsible Investment offer a menu of possible actions for incorporating ESG issues into investment practice”.

Senza indulgere ad un excursus storico, qui out of scope, ed anzi per venire ad epoca recente, nell’aprile 2021 la Commissione europea emise una proposta di Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) mirata a prescrivere a determinati enti di rendicontare nei propri atti in conformità con già adottati European Sustainability Reporting Standards (ESRS), che a sua volta l’EFRAG fu investita, nel ruolo di consulente tecnico (riconosciuto nella Corporate Sustainability Reporting Directive n. 2022/2464/UE in materia di rendicontazione societaria di sostenibilità), di sviluppare.

Detto sviluppo è giunto fino alla versione approvata dal parlamento europeo il 10 novembre 2022, contenente il “first set of draft European Sustainability Reporting Standards (ESRS)”, fra cui i “Draft ESRS E1 Climate change • Draft ESRS E2 Pollution • Draft ESRS E3 Water & marine resources • Draft ESRS E4 Biodiversity & ecosystems • Draft ESRS E5 Resources & circular economy”.

Da tale “advice package” sono nate le disposizioni dell’art. 29 ter della CSRD (di modifica della Direttiva 2013/34/UE relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese) sui principi di rendicontazione di sostenibilità, conformemente ai quali, in ragione del loro oggetto, le (1) imprese madri di un gruppo di grandi dimensioni[1] e (2) le imprese di grandi dimensioni e (3) le piccole e medie imprese[2], se imprese di assicurazione ed enti creditizi ed al contempo enti di interesse pubblico (con i loro valori mobiliari, cioè, ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato di uno Stato membro, e comunque ad eccezione delle microimprese) debbono rendicontare, nella relazione sulla gestione (consolidata, per i gruppi) tramite un’apposita sezione, su una serie di informazioni.

Quali informazioni?

Informazioni (a) necessarie alla comprensione dell’impatto del gruppo o dell’impresa sulle questioni di sostenibilità, nonché necessarie alla comprensione del modo in cui le questioni di sostenibilità influiscono sull’andamento del gruppo o dell’impresa, sui suoi risultati e sulla sua situazione, e (b) da declinare in conformità a principi di rendicontazione di sostenibilità secondo cui gli enti debbono specificare informazioni su determinati fattori di Governance, su determinati fattori Sociali e in materia di diritti umani e su determinati fattori Ambientali (Environment).

I fattori Ambientali, in particolare, sono i) la mitigazione dei cambiamenti climatici, anche per quanto riguarda le emissioni di gas a effetto serra; ii) l’adattamento ai cambiamenti climatici; iii) le risorse idriche e marine; iv) l’uso delle risorse e l’economia circolare; v) l’inquinamento; vi) la biodiversità e gli ecosistemi.

È banale constatare come si tratti di temi dal confine difficilmente determinabile, ma pure che si tratta di una serie di obiettivi collegati l’uno all’altrodall’uso delle risorse sostenibili deriva la riduzione dell’inquinamento, da quest’ultima dovrebbe conseguire una mitigazione dei cambiamenti climatici.

E difatti il “considerando 48” della CSRD sottolinea come la “riduzione del consumo di energia e il miglioramento dell’efficienza energetica sono elementi fondamentali” per la realizzazione di un’economia (circolare e) climaticamente neutra, “giacché l’energia è utilizzata lungo tutte le catene di fornitura. È dunque opportuno tenere in debito conto gli aspetti energetici nell’elaborazione dei principi di rendicontazione di sostenibilità, in particolare in relazione alle questioni ambientali, comprese quelle relative al clima”.

Dunque, un’economia climaticamente neutra (a beneficio delle questioni ambientali) è stata riconosciuta dipendere, anche e soprattutto, dal miglioramento dell’efficienza energetica.

Ecco, perciò, che target di rilievo “ambientale” è divenuto il miglioramento dell’efficienza energetica, con la riduzione (almeno nel breve termine) dei fattori generanti inquinamento e cambiamenti climatici. Dato noto, e presupposto storico della CSRD, era infatti che l’utilizzo di combustibili fossili (principalmente carbone, petrolio e gas naturale) – sia ai fini civili che lungo le catene della fornitura – generasse (come continua a generare) emissioni di gas ad effetto serra, a cui si è dovuto l’aumento delle temperature e il conseguente cambiamento climatico, con i noti effetti (non soltanto sulla salute umana, ma) immediatamente sull’ambiente.

Di fronte a tale target, quali sono gli strumenti per raggiungere il miglioramento dell’efficienza energetica?

Uno di essi – perché volto alla decarbonizzazione del sistema energetico, al perseguimento della resilienza energetica nazionale e ad uno sviluppo sostenibile – sono le CER, cioè le comunità energetiche rinnovabili, recepite nell’ordinamento italiano con l’art. 42-bis del d.l. n. 162/2019, secondo il quale – nelle more del completo recepimento della direttiva (UE) 2018/2001 – sarebbe stato consentito attivare l’autoconsumo collettivo da fonti rinnovabili ovvero, appunto, realizzare comunità energetiche rinnovabili a determinate condizioni ed in determinati nei limiti temporali.

Dette condizioni e detti limiti sono stati identificati prima dall’art. 31 del d.l.vo 08/11/2021 n. 199 e, successivamente, regolati dall’ARERA con la Delibera 727/2022/R/eel, pubblicata il 29.12.2022, di introduzione del Testo Integrato dell’Autoconsumo Diffuso/TIAD, a mente del quale:

  • la CER – anch’essa configurazione per l’autoconsumo diffuso – è “il soggetto che opera nel rispetto di quanto stabilito dall’articolo 31 del decreto legislativo 199/21”;
  • i clienti finali[3] e i produttori[4], con punti di connessione ubicati nella stessa zona di mercato, devono dare mandato al referente (la CER stessa) per la sua costituzione e gestione;
  • l’esercizio dei poteri di controllo della configurazione CER fa capo esclusivamente a persone fisiche, PMI, enti territoriali e autorità locali, ivi incluse le amministrazioni comunali, gli enti di ricerca e formazione, gli enti religiosi, quelli del terzo settore e di protezione ambientale nonché le amministrazioni locali contenute nell’elenco delle amministrazioni pubbliche divulgato dall’ISTAT secondo quanto previsto all’articolo 1, comma 3, della legge 196/09, ma (b.2).

Si intuisce, quindi, come anche la scelta e la declinazione del contratto di diritto privato di cui al predetto art. 42-bis – che (a) tiene conto del fatto che la partecipazione alla configurazione CER è aperta a tutti i consumatori e che i clienti finali “associati” mantengono i loro diritti di cliente finale, compreso quello di scegliere il proprio venditorepossono recedere in ogni momento dalla configurazione di autoconsumo, fermi restando eventuali corrispettivi concordati in caso di recesso anticipato per la compartecipazione agli investimenti sostenuti, che devono comunque risultare equi e proporzionati e (b) che individua univocamente un soggetto delegato, responsabile del riparto dell’energia condivisa a cui poter demandare la gestione delle partite di pagamento e di incasso verso i venditori e il Gestore dei servizi energetici (GSE) Spa – costituisca uno snodo determinante, quanto complesso, perché clienti finali e produttori possano aggregarsi per costituire la CER ed essa accedere al servizio per l’autoconsumo di diffuso (erogato dal GSE e finalizzato alla determinazione dell’energia elettrica condivisa ed alla determinazione e valorizzazione dell’energia auto consumata e di quella incentivata) e perché, dunque, possa effettivamente realizzarsi e svilupparsi tale strumento di miglioramento dell’efficienza energetica di contributo ambientale.

Una forma contrattuale confacente alla costituzione ed alla gestione di una CER pare essere il contratto di rete introdotto dal d.l. n. 5/2009, una delle cui connesse agevolazioni è, per virare su un fattore di rilevanza invece Sociale, il riconoscimento (contenuto nell’art. 30 co. 4-ter del d.l.vo n. 276/2003) di ricorrere, le aziende firmatarie di un contratto di rete, al distacco di personale ed alla codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso. 


[1] Che, su base consolidata, alla data di chiusura del bilancio dell’impresa madre, superano i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti: totale dello stato patrimoniale: 20 000 000 EUR; ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40 000 000 EUR; numero medio dei dipendenti occupati durante l’esercizio: 250.

[2] Piccole imprese se alla data di chiusura del bilancio non superano i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti: totale dello stato patrimoniale: 4.000.000 EUR; ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 8.000.000 EUR; numero medio dei dipendenti occupati durante l’esercizio: 50.

Medie imprese se alla data di chiusura del bilancio non superano i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti: totale dello stato patrimoniale: 20.000.000 EUR; ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40.000.000 EUR;  numero medio dei dipendenti occupati durante l’esercizio: 250.

[3] Il cliente finale è una persona fisica o giuridica che non esercita l’attività di distribuzione di energia elettrica e che preleva l’energia elettrica, per la quota di proprio uso finale, da una rete con obbligo di connessione di terzi anche attraverso sistemi di distribuzione chiusi o linee private. Il cliente finale è altresì il titolare del punto di connessione dell’unità di consumo individuata secondo le disposizioni di cui al TISSPC e dal medesimo gestita.

[4] Il produttore è una persona fisica o giuridica che produce energia elettrica indipendentemente dalla proprietà dell’impianto di produzione e l’intestatario dell’officina elettrica di produzione, ove prevista dalla normativa vigente, nonché l’intestatario delle autorizzazioni alla realizzazione e all’esercizio dell’impianto di produzione.

Autore Emiliano Cardenà

Lateral Partner

Roma

e.cardenà@lascalaw.com

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