21.11.2022 Icon

Stato di insolvenza e società non in liquidazione: il criterio patrimoniale non basta

La sentenza in commento offre un ulteriore spunto di riflessione in merito ai presupposti ritenuti rilevanti ai fini della declaratoria di fallimento di una società non in liquidazione.

Invero, quando la società non è in stato di insolvenza (come nel caso di specie) l’accertamento dello stato di dissesto richiede una valutazione più ampia desumibile, più che dal rapporto tra attività e passività, dalla possibilità dell’impresa di continuare ad operare proficuamente sul mercato.

Ne consegue che l’insolvenza rilevante al fine della declaratoria di fallimento si traduca in una situazione di prognosi irreversibile, e non già in una temporanea incapacità a far fronte alle obbligazioni assunte. 

E, intendendosi tale uno stato d’impotenza economico – patrimoniale, idoneo a privare l’imprenditore della possibilità di far fronte, con mezzi normali, ai propri debiti.

Tuttavia, è certo che legittimamente la situazione di irreversibilità suddetta richieda una valutazione complessiva a prescindere da quelli che siano gli inadempimenti in cui si concretizza il dissesto e i fatti esteriori con cui si manifesta. 

Posto che eventuali protesti, pignoramenti e azioni di recupero dei crediti non costituiscono parametro esclusivo del giudizio di instabilità.

Gli inadempimenti sono infatti equiparabili agli altri fatti esteriori idonei a manifestare quello stato, con valore, quindi, meramente indiziario, da apprezzarsi caso per caso, e con possibilità di escludersene la rilevanza ove si tratti di inadempimento irrisorio.

Infatti, secondo l’espressa previsione dell’art. 5 L.Fall., la situazione di insolvenza può manifestarsi non solo attraverso inadempimenti – come detto – ma anche in altri eventuali fatti esteriori, e la prova è ricavabile in qualunque modo, comprese le risultanze dello stato passivo.

Peraltro, anche a prescindere dal semplice risultato della somma tra poste attive e passive della situazione patrimoniale, è evidente che sempre dai dati di contabilità dell’impresa è consentito muovere per poter vagliare, nella concretezza di ciascuna singola fattispecie, se il debitore disponga di risorse idonee a fronteggiare in modo regolare le proprie obbligazioni, avendo riguardo alla scadenza di queste ed alla natura e composizione dei cespiti dai quali sia eventualmente ipotizzabile ricavare il necessario per farvi fronte.

Sicchè i beni e i crediti che compongono il patrimonio sociale vanno considerati non solo per il valore contabile e di mercato, ma anche in rapporto all’attitudine ad essere adoperati per estinguere tempestivamente i debiti senza compromissione – di regola – dell’operatività dell’impresa.

Autore Luigia Cassotta

Associate

Roma

l.cassotta@lascalaw.com

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