01.07.2025 Icon

Successione a sorpresa: l’erede inconsapevole

Una battaglia familiare si è trasformata in un caso giuridico emblematico, capace di appassionare anche chi non mastica diritto.

Una firma che vale un’eredità

Un fratello affida alla sorella la gestione degli affari ereditari del padre, firmando una procura generale.

Lei vende beni, riscuote somme, si muove come rappresentante; il giorno dopo una di queste vendite, lui rinuncia formalmente all’eredità e anni dopo, chiede la restituzione di oltre 150.000 euro che sostiene la sorella abbia indebitamente trattenuto.

Respinto in primo grado, respinto in appello, ma la Cassazione cambia tutto.

Il 15 novembre 1978, la sorella – munita di procura – aveva venduto un bene del patrimonio ereditario in nome e per conto del fratello.

La Corte di Cassazione osserva che quell’atto equivale a un’accettazione tacita dell’eredità da parte del fratello e poiché l’accettazione dell’eredità è irrevocabile, la rinuncia formale fatta il giorno successivo non ha alcun effetto.

Tradotto: il fratello è diventato erede già con quella vendita, che lo volesse o no.

La Corte di Cassazione, con questa decisione, ha chiarito diversi punti fondamentali in materia di successione e rappresentanza, ridefinendo in modo incisivo il concetto di accettazione dell’eredità.

In primo luogo, ha affermato che l’eredità può essere validamente accettata anche da un rappresentante volontario, a condizione che quest’ultimo agisca sulla base di una procura che contempli espressamente tale potere.

Non è quindi necessario che l’accettazione avvenga personalmente da parte del chiamato all’eredità: è sufficiente che il rappresentante, in forza del mandato ricevuto, compia un atto che, per legge, equivale a una manifestazione inequivocabile della volontà di accettare.

Procura generale e accettazione tacita dell’eredità

La Corte ha anche chiarito che la procura generale può bastare per conferire questo potere, se include autorizzazioni sufficientemente ampie, come quelle a vendere immobili o compiere atti di straordinaria amministrazione. Non occorre quindi una procura speciale, purché l’intento del mandante risulti chiaro.

Fondamentale è poi il principio secondo cui l’accettazione dell’eredità – una volta avvenuta, anche tacitamente – non è più revocabile.

Ne consegue che un eventuale atto di rinuncia successivo non produce effetti giuridici: chi ha già accettato, resta erede, anche se tenta di rinunciare in un secondo momento.

In questo quadro, gli atti compiuti dal rappresentante nei limiti della procura si considerano come se fossero stati compiuti direttamente dal rappresentato, producendo effetti immediati nella sua sfera giuridica. Quando, per esempio, viene venduto un bene ereditario, la legge presume che ci sia stata un’accettazione dell’eredità, senza bisogno di ulteriori indagini sulla volontà del soggetto.

Dichiarazioni vs. azioni: cosa conta davvero nella successione

Questa sentenza conferma, in sostanza, che in materia di successioni non conta solo ciò che si dichiara, ma ciò che si fa, e che un solo atto – come una vendita immobiliare compiuta tramite procura – può decidere il destino giuridico dell’erede.

La Corte di Cassazione ha annullato la precedente sentenza della Corte d’Appello di Palermo e ha rinviato la causa per un nuovo esame.

In quella vendita del 1978, avvenuta con procura valida, si nascondeva già la chiave di tutto il contenzioso.

Una decisione che chiarisce definitivamente che, in tema di successioni, non conta solo ciò che si dichiara, ma soprattutto ciò che si fa.

Autore Valeria Bano

Senior Associate

Milano

v.bano@lascalaw.com

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