30.11.2018 Icon

La nullità negoziale e i limiti della transazione

Non può ammettersi una rinuncia a far valere la nullità negoziale, in quanto l’effetto invalidante assoluto deriva direttamente dalla legge e non è disponibile dai privati”.

Questo è il principio statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 26168/18 depositata in data 18.10.2018 in merito ad una rinuncia a far valere una nullità negoziale inserita all’interno di una transazione.

Il caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione riguarda la vicenda di alcuni coeredi, i quali avevano convenuto in giudizio l’altra coerede, il marito di quest’ultima e altri soggetti, chiedendo che venisse accertata la simulazione di un atto di compravendita, in realtà dissimulante una donazione in favore dei convenuti, con il quale la de cuius aveva venduto un immobile ad una società.

Peraltro, gli attori nel medesimo giudizio chiedevano che venisse dichiarata nulla, in quanto contenente un patto commissorio, una transazione, successiva di qualche anno rispetto alla vendita, stipulata tra la de cuius e i convenuti, con cui era stata conclusa, “a tacitazione di ogni reciproca pretesa, azione e diritto”, una causa avente ad oggetto anche la citata vendita.

Entrambe le domande venivano respinte dai giudici di merito.

Quanto alla domanda di petizione ereditaria, la stessa veniva, infatti, rigettata, considerato che il bene immobile era già uscito dal patrimonio ereditario a fronte della vendita.

Inoltre, l’azione rivolta ad accertare la simulazione della vendita era stata ritenuta preclusa agli attori a causa della rinuncia agli atti del precedente giudizio da parte della de cuius. Quest’ultima, infatti, con la transazione sopra citata aveva rinunciato all’azione sia rispetto alla simulazione del pagamento del prezzo, sia in relazione al patto commissorio.

La rinuncia agli atti del precedente giudizio, secondo la Corte di Appello, era, dunque, da considerarsi estesa anche all’azione di nullità della compravendita.

La Suprema Corte, invece, con la sentenza in commento, smentisce la Corte territoriale, affermando che non è possibile una rinuncia a far valere la nullità negoziale, in quanto l’effetto invalidante assoluto deriva dalla legge e, pertanto, non può essere oggetto di disposizione da parte dei privati.

La Corte di Cassazione osserva, infatti, che l’inammissibilità della convalida del contratto nullo ex art. 1423 c.c. preclude la possibilità di dare rilevanza alla rinuncia unilaterale del contraente, impedendo, quindi, che ciò che è nato nullo possa essere reso valido.

Inoltre, secondo i giudici di legittimità, la nullità risponde anche alla necessità di tutelare interessi pubblici e, per tale ragione, è prevista la rilevabilità d’ufficio della stessa, la quale verrebbe inevitabilmente frustrata qualora la rinuncia unilaterale avesse ad oggetto non solo l’azione, ma anche i diritti conseguenti alla declaratoria di nullità.

Secondo la Suprema Corte, quindi, la rinuncia alla nullità determina solo l’estinzione del giudizio, senza alcuna ripercussione sul diritto sostanziale, con conseguente possibilità di riproporre l’azione in successivi giudizi.

Cass., Sez. II Civ., 18 ottobre 2018, n. 26168Sara Severoni – s.severoni@lascalaw.com

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