La Corte di Cassazione ha recentemente avuto occasione di precisare il seguente principio in tema di cumulo dei mezzi di espropriazione, ovvero che “né il presumibile aggravio delle spese processuali gravanti sul debitore, né l’ordinaria mancanza di certezza sulla fruttuosità dei procedimenti esecutivi in concreto promossi possono costituire argomenti idonei, di per sé e in astratto, a fondare una valutazione di abusività del cumulo”.
La pronuncia in commento trae origine dal ricorso per Cassazione proposto da una Banca avverso la decisione del Tribunale di Ancona, il quale aveva rigettato l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. proposta dalla Banca creditrice procedente.
Nel caso in esame, difatti, la Banca procedente aveva dapprima promosso una procedura esecutiva presso terzi, nell’ambito della quale era stata emessa ordinanza di assegnazione del quinto dello stipendio della debitrice.
Successivamente, mentre procedevano i versamenti del Terzo pignorato, la Banca aveva promosso nei confronti della medesima debitrice una nuova procedura esecutiva, nelle forme dell’espropriazione immobiliare.
Nell’ambito della predetta esecuzione, la debitrice aveva formulato istanza ex art. 483 c.p.c., ritenendo che fosse stato posto in essere un abuso del cumulo dei mezzi di espropriazione; il giudice dell’esecuzione immobiliare aveva accolto l’istanza, dichiarando improcedibile la procedura esecutiva.
Avverso l’ordinanza la Banca ha, pertanto, proposto opposizione agli atti esecutivi, all’esito della quale il Tribunale di Ancona ha confermato l’ordinanza stessa, emettendo la Sentenza poi cassata in sede di legittimità e oggetto del presente commento.
La decisione impugnata, a parere dei Giudici, risulta non solo “manifestamente in contrasto con la ratio e con la lettera dell’art. 483 c.p.c.” ma anche “logicamente contraddittoria”.
La pronuncia è interessante poiché, non solo ribadisce i principi alla base dell’istituto del cumulo dei mezzi di espropriazione – già costantemente recepiti dalla giurisprudenza di legittimità – ma fornisce anche ulteriori elementi utili per il giudice dell’esecuzione, chiamato a decidere sulle istanze formulate dal debitore ex art. 483 c.p.c.
La Corte ritiene che il Tribunale di Ancona (e ancor prima il Giudice dell’Esecuzione), tenendo conto degli elementi della fattispecie in oggetto, avrebbe dovuto giungere ad una conclusione opposta, rigettando l’istanza ex art. 483 c.p.c. formulata dalla debitrice.
Ed invero, pur in pendenza dei pagamenti del Terzo pignorato, è legittima la proposizione di una successiva esecuzione immobiliare, atteso che l’assegnazione di un credito futuro del debitore dipendente da un rapporto contrattuale di lavoro, oltre a richiede un considerevole periodo di tempo per l’estinzione dell’obbligazione, non ne assicura il recupero in caso di cessazione del rapporto stesso.
Ma vi è di più: a detta dei Giudici di Legittimità, sia il Giudice dell’Esecuzione che il Tribunale in sede di opposizione agli atti esecutivi hanno errato nel ritenere che “la maggior probabilità e rapidità di soddisfazione del creditore non erano certe”, senza tuttavia che parte debitrice avesse fornito alcuna prova a sostegno delle proprie affermazioni.
In ultimo, la circostanza che la seconda procedura esecutiva comporti un aggravio di spese per parte debitrice, non costituisce elemento di per sé sufficiente a ritenere sussistente un abuso nel cumulo dei mezzi di espropriazione, a meno che non si tratti di spese valutate “superflue” dal Giudice dell’Esecuzione.
In definitiva, secondo la Corte, la circostanza che una seconda procedura esecutiva comporti delle spese ulteriori e l’incertezza circa il risultato della stessa, necessitano di una prova concreta (che deve essere fornita da parte esecutata in ossequio al principio dell’onere della prova) non potendo astrattamente e di per sé costituire valido motivo perché il G.E. ne dichiari l’improcedibilità.
Per tali ragioni, la Sentenza impugnata è stata cassata in quanto “del tutto priva di una effettiva e logica motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza, in concreto, di un abuso del creditore, ancora insoddisfatto, nel promuovere una seconda espropriazione dei beni della debitrice”.