La Cassazione ha emanato il seguente principio di diritto «conseguita attraverso la diffida ad adempiere la risoluzione di un contratto cui è acceduta la prestazione di una caparra confirmatoria, l’esercizio del diritto di recesso è definitivamente precluso e la parte non inadempiente che limiti fin dall’inizio la propria pretesa risarcitoria alla ritenzione della caparra (o alla corresponsione del doppio di quest’ultima), in caso di controversia, è tenuta ad abbinare tale pretesa ad una domanda di mero accertamento dell’effetto risolutorio».
Analizziamo il caso concreto così da poter meglio comprendere tale principio.
Il promissario acquirente di un immobile conveniva in giudizio la promissaria venditrice domandando l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., con obbligo di concludere il definitivo di compravendita.
Egli contestava l’inadempimento della venditrice rispetto ai lavori di ristrutturazione, alla conformità alle norme urbanistiche ed alla liberazione di una ipoteca gravante sull’immobile.
Eccepiva, altresì, la nullità della diffida ad adempiere inviata da controparte e chiedeva, pertanto, la riduzione del prezzo o, in subordine, la risoluzione del contratto preliminare, con la restituzione della caparra confirmatoria, oltre al risarcimento del danno.
La promissaria venditrice si costituiva domandando il rigetto delle istanze attoree e chiedeva, in via riconvenzionale, la ritenzione della caparra.
Il Tribunale di Ivrea condannava quest’ultima alla restituzione della caparra e la decisione veniva confermata anche in sede di appello.
La promissaria venditrice non si dà per vita e propone ricorso in Cassazione affidandosi a due motivi di diritto, investenti entrambi il tema dei rapporti tra effetto risolutorio di diritto ricollegato al decorso del termine fissato nella diffida ad adempiere.
Diversamente da quanto statuito dai giudici dell’appello, nel caso di specie la parte venditrice, non inadempiente, ha correttamente reputato di non dover esercitare il diritto di recesso, avendo già ritenuto la caparra, e chiesto esclusivamente l’accertamento della risoluzione del contratto preliminare.
In altri termini, la promittente venditrice ha chiesto una pronuncia di mero accertamento della risoluzione del contratto preliminare di compravendita, prodottasi in via stragiudiziale attraverso l’inutile decorso del termine fissato nella diffida ad adempiere (art. 1454 c.c., comma 3).
Su questa base, ha chiesto poi di ritenere la caparra.
Per conseguire tale scopo ha correttamente reputato di non aver bisogno di esercitare il diritto di recesso (che sarebbe stato una specie di illogico bis in idem) avendo costei già conseguito l’obiettivo di sciogliersi dal vincolo contrattuale attraverso la diffida ad adempiere congiuntasi all’inutile decorso del termine. Infatti, non ha esercitato il recesso.
La disposizione da applicare era, dunque, l’art. 1385, comma 2, cod. civ., che sancisce la possibilità di recedere dal contratto, ritenendo la caparra, se la parte che l’ha versata si rende inadempiente.
Risultava infatti provato che la promissaria venditrice non si era resa inadempiente alle proprie obbligazioni e che, al contrario, lo era stato l’acquirente, essendo inutilmente decorso il termine per il rogito indicato nella diffida ad adempiere.
In conseguenza, la parte non inadempiente che si è giovata dell’effetto risolutorio del contratto attraverso la diffida adempiere, cui si è congiunto l’inutile decorso del tempo, non perde il diritto di ritenere la caparra in funzione del danno, predeterminata, forfettaria e sganciata dall’onere della prova.
In tal modo, il recesso non è più necessario poiché il suo effetto sostanziale è stato anticipato.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara il diritto della venditrice di vedersi restituire e ritenere la caparra.
Cass., Sez. II, Ord., 8 giugno 2022, n. 18392
Valeria Bano – v.bano@lascalaw.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA