Ai fini della determinazione del reddito d’impresa i costi sono deducibili se sono soddisfatti alcuni principi “immanenti”[1], ossia quelli della competenza temporale, della certezza in merito all’esistenza del costo, dell’oggettiva determinabilità dello stesso, nonché dell’inerenza della spesa ad attività o beni da cui derivino ricavi o altri proventi imponibili.
Con riferimento alle spese sostenute per promuovere l’azienda o i suoi prodotti e/o servizi si evidenzia che, ai fini delle imposte sui redditi [2]:
- – le spese di pubblicità e propaganda, sostenute al fine di (i) informare i possibili consumatori dell’esistenza di beni e servizi prodotti da un’impresa ed (ii) evidenziarne le caratteristiche e le idoneità a soddisfare determinati bisogni, sono interamente deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi;
- – le spese di rappresentanza[3], dirette a promuovere e consolidare gli affari dell’impresa mediante l’offerta ad alcune persone, direttamente o indirettamente collegate all’impresa, di un’immagine positiva e prestigiosa in termini di organizzazione e di efficienza, sono deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento nelle seguenti misure:
- a. 1,3% per i ricavi/proventi della gestione caratteristica fino a 10 milioni di euro;
- b. 0,5% per la parte che eccede 10 milioni e fino a 50 milioni di euro;
- c. 0,1% per la parte che eccede 50 milioni di euro.
Sono, invece, interamente deducibili, a prescindere dal predetto limite, le spese relative a beni di importo unitario non superiore a 50 euro.
Il dualismo spese di pubblicità / rappresentanza, si manifesta anche ai fini IVA, infatti: l’imposta relativa alle spese di pubblicità e propaganda risulta detraibile al 100%[4] mentre l’imposta relativa alle spese di rappresentanza, come sopra definite ai fini delle imposte sul reddito, non è ammessa in detrazione, tranne quella sostenuta per l’acquisto di beni di costo unitario non superiore a 25,82 euro[5].
Le spese di sponsorizzazione
Secondo la prassi dell’Agenzia delle Entrate[6], la sponsorizzazione è: “… un contratto bilaterale a prestazioni corrispettive, in base al quale il soggetto sponsorizzato si obbliga nei confronti dello sponsor ad effettuare determinate prestazioni pubblicitarie dietro versamento di un corrispettivo che può consistere in una somma di denaro, in beni o servizi, che lo sponsor deve erogare direttamente o indirettamente”. Pertanto, ai fini dell’assimilazione delle spese di sponsorizzazione a quelle di pubblicità, devono essere soddisfatti due requisiti:
- – un requisito sostanziale: tali spese devono essere sostenute al fine di reclamizzare un prodotto commerciale oppure il nome o il marchio dell’impresa;
- – un requisito formale: tali devono essere corrisposte a fronte di un obbligo contrattuale del soggetto beneficiario.
Già in passato[7] è stato chiarito che le spese sostenute per divulgare il nome della società finanziatrice nel corso di gare automobilistiche (esposizione del marchio su macchine da competizione, utilizzazione del materiale del team sul proprio materiale pubblicitario), rientrano tra le spese di pubblicità̀.
Con gli stessi criteri risultano deducibili le spese di sponsorizzazione del marchio di un’altra impresa[8] ed in tal caso spetta all’Amministrazione finanziaria provare la mancata inerenza di tali spese alla produzione del reddito d’impresa.
Le spese di sponsorizzazione erogate alle associazioni sportive dilettantistiche.
Nell’ambito delle spese sostenute dalle aziende per la promozione, un particolare riguardo hanno le sponsorizzazioni alle società sportive dilettantistiche.
Ai fini fiscali, la norma[9] prescrive che «Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche (…) costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario». Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate[10] ha precisato che tale norma introduce una presunzione assoluta in forza della quale le spese in esame sostenute nel limite di €200.000 si considerano sempre di pubblicità ove:
- 1. i corrispettivi erogati devono siano destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante;
- 2. a fronte dell’erogazione delle somme deve essere riscontrata una specifica attività del beneficiario della medesima erogazione.
Ove i corrispettivi erogati superino il limite annuo di 200.000 l’eccedenza sarà eventualmente deducibile in capo al medesimo erogante secondo le regole ordinarie previste dal T.U.I.R[11] e illustrate nel paragrafo precedente.
Tale interpretazione è stata di recente confermata dalla Cassazione[12] che individua nella disciplina vigente[13] una «presunzione legale di inerenza/deducibilità̀» di tali spese.
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale, ai fini della deducibilità di tali somme dal reddito d’impresa, occorre solo verificare che:
- – il soggetto sponsorizzante sia una compagine sportiva dilettantistica;
- – sia rispettato il limite quantitativo di 200mila euro;
- – la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor;
- – il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività̀ promozionale come, ad esempio, l’apposizione del marchio sulle divise, l’esibizione di striscioni e/o tabelloni sul campo da gioco, eccetera.
La Cassazione ha poi finalmente chiarito che risultano del tutto irrilevanti eventuali considerazioni sull’antieconomicità del costo pubblicitario, legate ad un’asserita irragionevole sproporzione tra l’entità della spesa sostenuta rispetto al fatturato/utile di esercizio del contribuente.
Nella pronuncia è infatti chiarito che la norma ha introdotto una «presunzione assoluta» oltre che della natura di «spesa pubblicitaria», anche dell’inerenza fino alla soglia di 200mila euro, con la conseguenza che nessuna diversa valutazione è consentita agli uffici.
La decisione assume rilievo poiché l’amministrazione a volte in assenza di contestazioni sulla veridicità della sponsorizzazione, si limita a disconoscere il costo dedotto nel presupposto dell’inutilità̀ dello stesso rispetto al volume di affari conseguito o, ancora lo ritiene sproporzionato, procedendo così al recupero rispettivamente dell’intera deduzione operata o di quella ritenuta eccessiva ovvero antieconomica.
[1] Art. 109 TUIR
[2] Art. 108, comma 2, DPR 917/1986
[3] Classificate in base al D.M. 19 novembre 2008
[4] Art. 19, comma 1, D.P.R. n. 633/1972
[5] Art. 19-bis1, lett h), del D.P.R. n. 633/1972
[6] Risoluzione del 14 novembre 2002, n. 356/E
[7] Ris, Min. Finanze 17 giugno 1992, num.9/204
[8] Cass. Num. 27198/2014: “sarà l’Amministrazione a dover provare l’inesistenza, nel caso specifico, del predetto nesso di inerenza e sul rilievo che la sponsorizzazione si traduce per lo sponsor in una forma di pubblicità̀ indiretta, consistente nella promozione del marchio o del prodotto che si intende lanciare sul mercato”
[9] dall’art. 90, comma 8, Legge n. 289/2002
[10] Con la successiva circolare n. 21/E/2003
[11] Agenzia delle Entrate, risoluzione n. 57/E/2010
[12] ordinanza 8981/2017
[13] vedi nota 9
Daniele Majorana – d.majorana@lascalaw.com
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