L’art. 60 del Decreto Legge n. 50 del 24 aprile 2017[1], nell’ambito degli sforzi tesi a rendere l’ordinamento italiano più competitivo per le istituzioni finanziarie UK che potrebbero trasferirsi in Italia per effetto di “Brexit”, ha introdotto il regime fiscale agevolativo del «carried interest» che, al verificarsi di talune condizioni, si qualifica quale reddito di capitale o reddito diverso, scontando l’imposta sostitutiva sui capital gains del 26 per cento.
Il carried interest nel Private equity
Le operazioni di private equity sono caratterizzate da particolari clausole contrattuali che, al fine di allineare[2] gli interessi economici dei managers (solitamente amministratori e/o dipendenti della società di gestione o del veicolo che effettua l’investimento) a quelli degli investitori terzi, prevedono l’ingresso dei primi come co-investitori nell’iniziativa, mediante l’acquisizione[3] di una quota minima di particolari strumenti finanziari emessi dalla società target , di solito compresa tra l’1% e il 5%. La peculiarità di tali strumenti finanziari consiste nel fatto di essere portatori di un “carried interest”, ossia di un particolare diritto che può consistere alternativamente nel:
- – ricevere una parte consistente dell’utile complessivo generato dall’investimento, dopo che la generalità degli investitori terzi sono stati remunerati con un adeguato rendimento (“hurdle rate”);
- – convertire le azioni speciali di cui sono titolari i manager in un numero più che proporzionale di azioni ordinarie.
Disciplina fiscale del carried interest
Anteriormente all’introduzione della norma in commento, in presenza di clausole contrattuali che subordinavano il possesso degli strumenti finanziari sopra citati alla sussistenza di un rapporto di lavoro, il carried intereset era qualificato come reddito da lavoro dipendente (o ad esso assimilato) per effetto della nozione omnicomprensiva di tale reddito[4], soggetto ad imposta progressiva sui redditi (IRPEF, aliquota massima 43 per cento).
Ad esito della nuova normativa, i proventi degli strumenti finanziari sottoscritti dai managers costituiscono redditi di capitale o redditi diversi (normalmente tassati con l’imposta sostitutiva del 26 per cento), se ricorrono i seguenti requisiti:
a) Ammontare minimo dell’investimento: L’impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e gli amministratori deve comportare un esborso effettivo pari ad almeno l’1 per cento dell’investimento complessivo effettuato dall’organismo di investimento collettivo del risparmio o del patrimonio netto nel caso di società o enti. Ai fini della determinazione dell’esborso complessivo, si tiene conto:
- – dell’ammontare assoggettato a tassazione come reddito in natura di lavoro in sede di attribuzione/sottoscrizione delle azioni, quote o strumenti finanziari, e, nel caso di soggetti non residenti, dell’ammontare che sarebbe stato assoggettato a tassazione laddove questi ultimi fossero stati residenti in Italia;
- – dell’ammontare sottoscritto in azioni, quote o altri strumenti finanziari senza diritti patrimoniali rafforzati.
- b) Hurdle rate: I proventi delle azioni, quote o strumenti finanziari frutto dei diritti patrimoniali rafforzati, maturano solo dopo che tutti i soci o partecipanti all’organismo di investimento collettivo del risparmio hanno percepito un ammontare pari al capitale investito e ad un rendimento minimo previsto nello statuto o nel regolamento, ovvero, abbiano realizzato con la cessione un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito e al predetto rendimento minimo, nel caso di cambio di controllo;
- c) Holding period: Le azioni, quote o strumenti finanziari aventi i suindicati diritti patrimoniali rafforzati sono detenuti dai dipendenti e amministratori o, in caso di decesso, dai loro eredi, per un periodo non inferiore a 5 anni, o se precedente al decorso di tale periodo quinquennale, fino alla data di cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione.
Sotto il profilo soggettivo, tale disciplina riguarda i proventi:
- a) derivanti dalla partecipazione, diretta o indiretta, a società, enti o OICR, residenti o istituiti nel territorio dello Stato o in Stati o territori che consentono un adeguato scambio di informazioni, come individuati dal decreto ministeriale del 4 settembre 1996 (c.d. white list);
- b) percepiti da amministratori e dipendenti di tali società, enti o OICR, ovvero di soggetti legati alle entità di cui al punto precedente da un rapporto diretto o indiretto di controllo o gestione, compresi – come precisato dalla relazione illustrativa al disegno di legge di conversione – i soggetti delegati alla gestione e quelli con funzioni di advisor;
La disciplina in commento si applica ai proventi percepiti a partire dal 24 aprile 2017 (data di entrata in vigore del decreto legge), anche in relazione ad azioni, quote e strumenti assegnati o sottoscritti prima di tale data.
Si rammenta, infine, che le disposizioni contenute nel D.L. n. 50/2017 sono subordinate alla conversione in legge entro 60 giorni dall’entrata in vigore, a pena di decadenza.
[1] Pubblicato sul Supplemento Ordinario n. 20/L alla Gazzetta Ufficiale n. 95 del 24 aprile 2017 ed entrato in vigore in pari data.
[2] Come emerge dalla relazione illustrativa al disegno di legge di conversione in commento, la finalità del carried interest è quella di allineare il più possibile gli interessi e i rischi dei gestori con quelli degli investitori, i quali normalmente richiedono che tali meccanismi vengano attivati. Per questo motivo i diritti patrimoniali rafforzati sono accompagnati da condizioni che garantiscono un certo ritorno minimo agli altri investitori ed un differimento nel tempo della distribuzione.
[3] Tale ingresso nel capitale del veicolo può anche avvenire tramite un’assegnazione non proporzionale di particolari strumenti finanziari in sede di apposito aumento del capitale sociale.
[4] Ai sensi dell’art. 51 del Tuir, il reddito di lavoro dipendente (e quello assimilato a quello di lavoro dipendente in virtù del rinvio contenuto nell’art. 52 del Tuir) è costituito “da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”. Come chiarito dall’Amministrazione finanziaria nella Circolare Ministeriale n. 326 del 23 dicembre 1997, in tale categoria rientrano tutte le attribuzioni in qualche modo riconducibili al rapporto di lavoro, “anche se non provenienti direttamente dal datore di lavoro” (come potrebbe essere il caso dell’erogazione effettuata da parte di altra società del gruppo) e “indipendentemente dal nesso sinallagmatico tra effettività della prestazione di lavoro reso e le somme e i valori percepiti”. Vi rientrano, pertanto, anche “le somme e i valori percepiti sotto forma di partecipazione agli utili”.
Daniele Majorana – d.majorana@lascalaw.com
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