10.10.2025 Icon

La redistribuzione degli oneri nella responsabilità per infortunio sul lavoro

Con l’ordinanza n. 26021 del 2025 la Corte di Cassazione traccia una linea chiara in tema di responsabilità datoriale e infortuni sul lavoro: il lavoratore è chiamato unicamente a descrivere la dinamica dell’infortunio e a dimostrare il nesso causale tra l’attività lavorativa e il danno subito; spetta invece al datore di lavoro fornire la prova di aver adottato tutte le misure di sicurezza previste dalla normativa contrattuale e dal Testo Unico sulla salute e sicurezza (T.U. 81/2008).

Nel caso in esame Tizio, operaio addetto al taglio di tondini presso la Alfa S.p.A., subisce un grave danno oculare quando un frammento di metallo gli raggiunge l’occhio sinistro durante l’uso di una cesoia.

In primo grado, il Tribunale respinge la domanda risarcitoria: il danno sarebbe già riconosciuto dall’INAIL (28%) e, dunque, non spettano ulteriori somme. In secondo grado, la Corte d’Appello di Bologna accerta la responsabilità di Alfa ma rigetta la richiesta del danno differenziale, ritenendo che Tizio non abbia allegato con sufficiente precisione né i “parametri di nocività” dell’ambiente di lavoro né i dettagli tecnici sulla dinamica del sinistro.

La pronuncia riprende il consolidato principio delle Sezioni Unite (Cass. n. 13533/2001), a mente del quale, in tema di inadempimento contrattuale, l’attore deve limitarsi all’allegazione dell’esistenza dell’obbligazione, del suo inadempimento e del nesso di causalità; grava sul convenuto l’onere di provare l’effettivo adempimento.

Nel contesto degli infortuni sul lavoro, la sezione lavoro ha più volte confermato che il lavoratore infortunato non deve diventare “esperto” di norme tecniche o di misure di prevenzione: basta una descrizione sufficientemente chiara dell’evento e il rapporto causale con l’attività svolta, mentre la prova delle misure di sicurezza adottate compete al datore di lavoro (Cass. 9817/2008).

La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso di Tizio, annulla la decisione della Corte d’Appello e rinvia per un nuovo giudizio, chiarendo che Tizio avrebbe dovuto solo dimostrare che l’evento – la proiezione del frammento metallico – era collegato all’uso della cesoia nell’ambito del suo lavoro. Al contrario, la società doveva provare di aver effettuato una concreta valutazione dei rischi, in ottemperanza con quanto disposto dall’art. 28 T.U. 81/2008), la selezione, fornitura e formazione sui dispositivi di protezione individuale (DPI) e una continua vigilanza sull’utilizzo corretto dei DPI da parte di Tizio.

L’onere probatorio datoriale include anche la conservazione di documenti quali il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), i registri di consegna dei DPI e i verbali dei corsi di formazione.

In definitiva, il bilanciamento degli oneri probatori delineato dalla Cassazione con l’ordinanza n. 26021/2025 rappresenta un importante passo avanti verso un’equa distribuzione delle responsabilità in sede processuale, ma solleva alcune criticità di ordine pratico e teorico.

In primo luogo, il criterio di allegazione minimale a carico del lavoratore appare in linea con il principio di accesso alla giustizia: non è ragionevole pretendere che un infortunato diventi un esperto di normativa tecnica. Tuttavia, questa semplificazione può spingere taluni giudici a liquidare la questione sulla base di ricostruzioni generiche, non sufficientemente approfondite, lasciando così spazio a interpretazioni lassiste che riducono il rigore istruttorio.

D’altro canto, l’onere di documentare l’intero sistema sicurezza grava pesantemente sull’organizzazione datoriale. Se da un lato incentiva imprese virtuose a mantenere aggiornati DVR, registri DPI e verbali di formazione, dall’altro rischia di trasformarsi in un ulteriore adempimento formale, con produzioni difensive orientate più al “cumulo documentale” che a una reale cultura della prevenzione.

Inoltre, il richiamo alla vigilanza sul corretto uso dei DPI introduce una dimensione quasi “pedagogica” dell’obbligo datoriale, che potrebbe tradursi in un ulteriore spreco di risorse se non accompagnato da efficaci sistemi di feedback e controllo periodico. In mancanza di organismi di vigilanza interna credibili, il principio rischia di restare una mera etichetta, incapace di prevenire realmente gli incidenti.

Permane in ogni caso nodo dell’equilibrio tra responsabilità contrattuale e responsabilità oggettiva. Pur riaffermando il sinallagma del contratto di lavoro, la sentenza non scalfisce del tutto la tendenza a interpretare l’art. 2087 c.c. con un’ottica quasi sanzionatoria, soprattutto in casi di infortuni gravi, lasciando aperto il dibattito su possibili derive verso un modello di responsabilità “lasciata a carico” del datore, quasi automatico.

Autore Pasquale Parisi

Associate

Milano

p.parisi@lascalaw.com

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