14.12.2023 Icon

Finanziamento del terzo: condizioni e limiti

È lecito, in quanto non configura violazione del divieto di raccolta del risparmio previsto dall’art. 11 TUB, il finanziamento effettuato a favore della società da parte di un soggetto estraneo alla compagine sociale purché ciò sia stato concordato sulla base di trattative private e siano indicate la natura e la destinazione del prestito.

Il principio è stato espresso dal Tribunale di Roma, con la sentenza n. 3735 del 7 marzo 2023, per mezzo della quale veniva condannata la società convenuta a restituire alla mutuante (attrice) l’importo da quest’ultima versato alla società a titolo di mutuo.

A seguito di sopravvenute ed asserite “esigenze aziendali”, la società otteneva dall’attrice una somma di denaro che veniva versata a titolo di finanziamento. Tale finanziamento, tuttavia, come testimoniato dalla relativa delibera assembleare che ne dava atto, non assumeva forma scritta in quanto veniva concluso oralmente. Successivamente, la società si rendeva inadempiente al suo obbligo restitutorio e, pertanto, veniva convenuta in giudizio dalla mutuante al fine di ottenere la restituzione delle somme prestate, previa declaratoria di nullità del contratto di mutuo/finanziamento.

Il Tribunale di Roma rigettava la domanda principale dell’attrice relativa alla declaratoria di nullità del finanziamento e accoglieva esclusivamente la domanda subordinata volta ad ottenere la restituzione della somma mutuata, riconoscendo dunque la debenza di tale somma a seguito dell’inadempimento della società al suo obbligo restitutorio.

In primo luogo, veniva rilevato che “il contratto di mutuo, al di fuori dei rapporti bancari, non richiede la forma scritta né ad substantiamad probationem” poiché, “trattandosi di un contratto reale”, è unicamente richiesta la consegna della somma. Pertanto, nel caso di specie, diversamente da quanto invocato dall’attrice, il contratto era da ritenersi perfettamente valido, essendo stata provata in giudizio l’effettiva dazione delle somme mediante l’allegazione dei relativi bonifici con la corrispondente causale e sulla scorta del fatto che il relativo importo risultava altresì iscritto a bilancio nella categoria “Debiti diversi”.

Inoltre, nel rigettare la doglianza dell’attrice che lamentava il mancato rispetto dei motivi per il perseguimento dei quali il mutuo era stato erogato, il Tribunale precisava che tale mutuo non poteva essere inteso come mutuo di scopo, poiché quest’ultima ipotesi si verifica solamente laddove lo svolgimento dell’attività dedotta o il risultato perseguito attraverso il finanziamento siano in concreto rispondenti ad uno specifico e diretto interesse proprio anche del mutuante. Esulando il caso in esame da una siffatta ipotesi, “la destinazione delle somme ad altro fine rispetto a quello indicato eventualmente nel contratto non incide sulla validità del negozio”, con la conseguenza che la violazione dello scopo convenzionale si sarebbe potuta porre tutt’al più sul piano della risoluzione del contratto e non su quello della sua validità.

Infine, rigettando l’ulteriore motivo invocato dall’attrice per ottenere la declaratoria di nullità del mutuo, il Tribunale riteneva che non vi fosse stata alcuna violazione dell’art. 11 T.U.B. e dell’art. 2 Delibera CICR n. 1058/2005 – ai sensi dei quali è sancito il divieto della raccolta del risparmio tra il pubblico nei confronti di soggetti diversi da banche ed istituti a ciò autorizzati – “posto che non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico quella effettuata sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti, mediante contratti dai quali risulta la natura del finanziamento”.

Autore Matteo Rebecchi

Associate

Bologna

m.rebecchi@lascalaw.com

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