Lo scorso 8 dicembre sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europa è stata pubblicata la Direttiva (UE) 2021/2167, relativa alla gestione e alla cessione di crediti deteriorati, che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 29 dicembre 2023.
Lo scopo cardine della normativa in commento è rappresentato dallo smaltimento degli NPL dai bilanci bancari che, secondo la logica del Legislatore euro-unitario, sarà possibile solamente incentivando lo sviluppo e l’integrazione dei mercati secondari.
A tal fine viene posto l’accento sulla necessità di rimuovere le barriere di accesso che, di fatto, impediscono la creazione di mercati secondari efficienti e trasparenti, oltre che aperti ad investitori diversi da quelli istituzionali.
Ed è per questa ragione che ai singoli Legislatori nazionali viene chiesto di adottare normative volte a semplificare ed armonizzare i requisiti di accesso al mercato dei crediti deteriorati.
Il tutto in un’ottica volta ad incoraggiare la concorrenza nella speranza di abbattere i costi di gestione.
Premesso quanto sopra, entrando nel dettaglio della normativa richiamata, l’art. 2 ne definisce l’ambito di applicazione.
Le norme contenute nella Direttiva NPL si applicano, infatti, ai seguenti soggetti: i) il “gestore di crediti”, ossia colui al quale vengono demandati compiti volti al recupero, alla rinegoziazione dei crediti deteriorati e di informativa nei confronti dei debitori; ii) l’“acquirente di crediti“ e iii) il “fornitore di servizi”, il terzo di cui si avvale il gestore per lo svolgimento di una parte delle attività di gestione.
È interessante notare come la Direttiva NPL sottoponga i “gestori” ad un regime autorizzativo per effetto del quale i loro esponenti dovranno soddisfare specifici requisiti di professionalità, competenza e onorabilità.
In aggiunta, sempre in un’ottica di tutela del debitore, viene prevista l’istituzione di un registro tramite cui i soggetti di cui all’art. 2 dovranno assicurare il soddisfacimento di specifici oneri informativi.
Ma vi è di più: si potrebbe giungere ad una progressiva tipizzazione del “ contratto di gestione del credito” stipulato tra gestore e acquirente, il quale dovrà rispettare precisi requisiti di forma e di sostanza.
Inoltre, i Legislatori nazionali saranno tenuti a regolamentare la procedura per l’esternalizzazione delle attività di recupero degli Special Servicer a terzi subfornitori.
Infine, viene previsto a tutela dell’acquirente un particolare regime informativo cui dovranno attenersi, già in sede pre-negoziale, le banche.
Alla luce del dato normativo sorgono le seguenti domande.
L’ordinamento italiano è già conforme alla Direttiva (UE) 2167/2021 oppure si rende necessario un processo di adeguamento?
Quali difficoltà potrebbero a sorgere nell’ambito di un procedimento di armonizzazione?
Posto che è, senz’altro, necessario attivare il processo di armonizzazione, è evidente come sussista il fondato rischio della deriva verso un “doppio regime”.
Invero, per i crediti diversi da quelli bancari, ammesso che il Legislatore non intenda optare per un unico modello, rimarrebbe, infatti, in vigore l’attuale disciplina.
Dal canto nostro, non possiamo che confidare nel fatto che il Legislatore nazionale nel processo di adeguamento non trascuri il c.d. debtor level approach, specie con riguardo agli UTP.
Anna Grazia Pollice – a.pollice@lascalaw.com
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