Un avvocato riporta, per esteso, nella parte narrativa di un proprio atto la proposta transattiva ricevuta da controparte, non accorgendosi però del fatto che fosse riportata la dicitura “riservata personale”.
Viene così sottoposto a procedimento disciplinare per aver violato l’art. 48, 1° comma, del codice deontologico forense.
Il legalesi difende sostenendo chel’errore fosse per una “mera distrazione”.
La giustificazione addotta dall’avvocato, tuttavia, non basta, perché il divieto imposto dalla norma deontologica è di carattere generale.
Tale divieto di cui all’art. 48 c.d.f. “trova applicazione a prescindere dall’oggetto e dal contenuto della missiva. Dunque, se la missiva è qualificata riservata e/o se la stessa contiene proposte transattive/conciliative, non potrà mai essere prodotta in giudizio, riportata in atti processuali, riferita in giudizio o consegnata al cliente e/o parte assistita”, fatte salve le eccezioni di cui al secondo comma dell’articolo in commento, comunque non applicabili al caso che qui interessa.
Non solo: è vietato produrre o riferire in giudizio la corrispondenza contenente proposte transattive scambiate con i colleghi, anche a prescindere dalla suddetta clausola di riservatezza.
La suddetta norma è posta a tutela del corretto svolgimento dell’attività professionale, al fine di “non consentire che leali rapporti tra colleghi possano dar luogo a conseguenze negative nello svolgimento della funzione defensionale, specie allorché le comunicazioni ovvero le missive contengono ammissioni o consapevolezza di torti ovvero proposte transattive”.
Il Collegio sottolinea però che «al di là dell’affermata non intenzionalità nella produzione della missiva soprattutto a causa della propria distrazione, oltre ad essere documentalmente provato, è stato sostanzialmente ammesso anche dallo stesso ricorrente».
Pertanto, il CNF respinge il ricorso.