
Il caso in commento riguarda un dipendente pubblico che aveva ravvisato un’ipotesi di straining nella condotta del datore di lavoro che, secondo la sua prospettazione, lo aveva illegittimamente privato della qualifica di funzionario attraverso la messa a concorso del posto.
I giudici di merito avevano rigettato la domanda, dichiarando il difetto di giurisdizione del giudice ordinario poiché il dedotto declassamento era stato determinato da una delibera della giunta municipale del 1996. Inoltre, avevano escluso che nella fattispecie potesse ravvisarsi un comportamento stressogeno scientemente attuato nei confronti del dipendente.
Il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione articolando tre motivi: i primi due relativi alla questione della giurisdizione e il terzo concernente il merito della domanda di risarcimento per straining.
La Suprema Corte ha accolto i primi due motivi di ricorso, richiamando il consolidato orientamento delle Sezioni Unite secondo cui “in tema di pubblico impiego contrattualizzato, la sopravvivenza della giurisdizione del giudice amministrativo, regolata dall’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, costituisce, nelle intenzioni del legislatore, ipotesi assolutamente eccezionale” (Cass. SU n. 7305/2017).
Il principio cardine è che, per evitare il frazionamento della tutela giurisdizionale, quando il lavoratore deduce un inadempimento unitario dell’amministrazione che si protrae oltre il discrimine temporale del 30 giugno 1998, la giurisdizione spetta al giudice ordinario anche per il periodo anteriore a tale data. Come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, non è infatti ammissibile che sul medesimo rapporto abbiano a pronunciarsi due giudici diversi, con possibilità di differenti risposte ad una stessa istanza di giustizia. Nel caso di specie, il rapporto dedotto in giudizio riguardava il complessivo arco temporale della prestazione di lavoro resa presso il Comune fino al febbraio 2010, dunque ben oltre la data spartiacque del 30 giugno 1998. Di conseguenza, in applicazione del principio di concentrazione delle tutele, la Corte ha correttamente riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario.
Quanto al terzo motivo, relativo alla configurabilità dello straining, la Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello che aveva escluso la sussistenza di comportamenti stressogeni nella condotta datoriale.La pronuncia offre l’occasione per una riflessione sulla figura dello straining nel pubblico impiego. A differenza del mobbing, che richiede una pluralità di azioni vessatorie, lo straining si configura anche in presenza di singoli comportamenti stressogeni, purché scientemente attuati nei confronti del dipendente. Come chiarito dalla giurisprudenza, integra la fattispecie anche il caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori.
Nel caso esaminato, tuttavia, la Corte ha ritenuto che la mera circostanza del dedotto declassamento, peraltro disposto dall’ente comunale sulla scorta della decisione della Commissione Centrale per gli organici degli enti locali nel quadro dei provvedimenti di risanamento degli enti dissestati, non fosse idonea ex se ad integrare gli elementi costitutivi dello straining. È infatti necessario che il comportamento datoriale, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale ed altre circostanze del caso concreto, sia tale da determinare una situazione di stress ingiustificato e dannoso per il lavoratore.
La sentenza in commento si segnala per il duplice profilo di interesse: da un lato, conferma il consolidato orientamento in tema di riparto di giurisdizione nel pubblico impiego privatizzato, volto ad evitare la frammentazione della tutela giurisdizionale; dall’altro, contribuisce a delineare i confini della fattispecie dello straining, evidenziando come non ogni modifica organizzativa o gestionale che incida sulla posizione del dipendente sia di per sé idonea ad integrare la fattispecie, essendo necessaria una valutazione complessiva della condotta datoriale alla luce delle peculiarità del caso concreto.
La pronuncia si inserisce nel solco di quell’orientamento giurisprudenziale che, pur riconoscendo tutela al lavoratore pubblico contro comportamenti vessatori o stressogeni, richiede un’attenta verifica della sussistenza degli elementi costitutivi delle fattispecie di mobbing e straining, al fine di evitare un’eccessiva dilatazione di tali figure.