11.04.2025 Icon

Appropriazione di denaro aziendale e licenziamento disciplinare: quando il dolo specifico non rileva

Con l’ordinanza in commento la Corte di Cassazione affronta un caso di licenziamento per giusta causa intimato a un dipendente che si era appropriato della somma di 1.300 euro prelevata dalla cassa del punto vendita a lui affidato.

Il lavoratore aveva impugnato il licenziamento sostenendo che, per configurare l’illecito disciplinare di appropriazione previsto dal codice disciplinare aziendale, fosse necessaria la sussistenza di tutti gli elementi tipici della fattispecie penale di appropriazione indebita ex art. 646 c.p., tra cui il dolo specifico e la definitività dell’appropriazione.

La questione centrale riguarda quindi il rapporto tra illecito disciplinare e reato, con particolare riferimento all’autonomia della nozione di “appropriazione” in ambito lavoristico rispetto alla sua configurazione penalistica. 

La Cassazione, con l’ordinanza n. 8154 del  27 marzo 2025, respinge il ricorso del lavoratore affermando alcuni principi fondamentali. In primo luogo, viene stabilito che la nozione di appropriazione rilevante ai fini disciplinari ha carattere autonomo rispetto alla fattispecie penale dell’appropriazione indebita. Tale autonomia si giustifica in ragione delle differenti finalità perseguite dai due ordinamenti: mentre il diritto penale mira alla repressione dei reati secondo precise fattispecie tipiche, il diritto del lavoro tutela primariamente l’affidamento riposto dal datore nella correttezza dei futuri adempimenti del prestatore.

La Corte chiarisce che, per la configurabilità dell’illecito disciplinare, non è necessario che la condotta integri tutti gli elementi costitutivi del reato di appropriazione indebita, essendo sufficiente che rappresenti una grave negazione dei doveri derivanti dal rapporto di lavoro, tale da ledere irrimediabilmente l’elemento fiduciario. Non rilevano quindi né la sussistenza del dolo specifico né la definitività dell’appropriazione, essendo sufficiente l’accertamento della materiale condotta appropriativa.

Questo orientamento si pone in continuità con la precedente giurisprudenza, come evidenziato dal richiamo all’ordinanza n. 35109/2024, che aveva già affermato come la particolare natura dell’attività di gestione della cassa e il correlato interesse aziendale ad una sua corretta gestione fondino un peculiare vincolo fiduciario, la cui lesione legittima l’irrogazione della massima sanzione espulsiva.

La pronuncia si inserisce in modo coerente nel solco della giurisprudenza che valorizza l’autonomia del diritto del lavoro rispetto ad altri settori dell’ordinamento, in particolare quello penale. Questa impostazione appare condivisibile, in quanto permette di tutelare adeguatamente l’interesse datoriale alla corretta gestione aziendale e alla preservazione del vincolo fiduciario, senza subordinare l’esercizio del potere disciplinare alla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi di un reato.

Particolarmente apprezzabile è il richiamo alla diversità di funzioni tra diritto penale e diritto del lavoro, che giustifica una differente configurazione degli illeciti nei due ambiti. Mentre il diritto penale, in ossequio ai principi di tipicità e tassatività, richiede la presenza di elementi soggettivi specifici come il dolo specifico, il diritto del lavoro può legittimamente concentrarsi sulla oggettiva lesione del vincolo fiduciario, prescindendo dall’accertamento dell’elemento psicologico in termini penalistici.

La sentenza offre anche un importante contributo in tema di interpretazione delle clausole dei codici disciplinari aziendali, affermando che queste vanno lette in chiave autonoma rispetto alle corrispondenti figure penalistiche, salvo che non vi sia un espresso rinvio alla normativa penale. Questo principio ermeneutico appare particolarmente utile nella pratica, fornendo alle parti sociali e agli interpreti un criterio chiaro per la redazione e l’applicazione dei codici disciplinari.

Resta tuttavia aperta la questione della proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto a condotte appropriative di modesta entità. Su questo punto, sarebbe forse opportuna una maggiore valorizzazione di elementi quali l’entità della somma, l’eventuale restituzione spontanea e l’assenza di precedenti disciplinari, al fine di graduare la risposta sanzionatoria secondo criteri di ragionevolezza.

Autore Pasquale Parisi

Associate

Milano

p.parisi@lascalaw.com

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