La possibilità per il socio di recedere dalla sua carica sussiste solo nel caso in cui la società sia contratta a tempo indeterminato e non anche a tempo determinato, sia pure lontano nel tempo.
Nel caso di specie, una società a responsabilità limitata proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa all’esito del giudizio di secondo grado che, in riforma della decisione di primo grado, aveva dichiarato la legittimità del recesso liberamente esercitato dal socio alla luce del fatto che la società era stata costituita con un termine di durata molto lungo, condannando la società al pagamento del controvalore della quota.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 26060 del 5 settembre 2022, ha confermato il principio – peraltro già espresso con riferimento alle società per azioni con la precedente sentenza n. 4716 del 21 febbraio 2020 – secondo cui la possibilità per il socio di recedere ad nutum, ai sensi dell’art. 2473, 2° comma, c.c., sussiste solamente qualora la società sia stata contratta a tempo indeterminato e non anche a tempo determinato, seppur il termine di durata statutario sia particolarmente lungo.
La Suprema Corte ha così superato definitivamente l’orientamento che riteneva che una previsione di durata statutaria eccessiva si risolverebbe, in sostanza, nella mancata determinazione del tempo di durata della società e darebbe luogo ad un effetto elusivo della previsione contenuta nella suddetta norma (Cass., 22 aprile 2013, n. 9662).
Le ragioni a supporto di una lettura restrittiva di tale previsione sono da rinvenirsi, infatti, (i) negli “elementi rappresentati dal dato testuale della disciplina del recesso nelle società di capitali”; (ii) nella “prevalenza, sull’interesse del socio al disinvestimento, dell’interesse della società a proseguire nella gestione del progetto imprenditoriale e all’integrità della garanzia patrimoniale offerta esclusivamente dal patrimonio sociale”; (iii) nella “necessità di assicurare carattere di certezza e univocità alle informazioni desumibili dalla consultazione degli atti iscritti nel registro delle imprese, senza imporre ai terzi un’attività di valutazione e interpretazione delle stesse connotata a un margine di opinabilità” e (iv) nell’interesse dei terzi (con particolare riferimento ai creditori) “a conoscere in anticipo il catalogo esatto delle ipotesi di recesso dei soci”.
Deve osservarsi, segnatamente, che l’orientamento fatto proprio nell’ordinanza in commento era stato già anticipato dall’ordinanza n. 8962 del 19 marzo 2019, la quale, tuttavia, si esprimeva relativamente a una clausola statutaria che prevedeva un termine non eccessivamente lungo (nel caso di specie, si trattava del 2050).