01.09.2022 Icon

La legittimità delle penali statutarie nelle società di capitali

Sono legittime le clausole statutarie che sanzionano l’inadempimento a taluni obblighi dei soci (derivanti dallo statuto) con prestazioni pecuniarie oppure con una alterazione dei diritti sociali pertinenti alle azioni o alle quote del socio inadempiente o, ancora, con l’insorgere di obblighi di diversa natura. Lo statuto può altresì prevedere che le penali statutarie di natura pecuniaria siano abbinate a clausole di esclusione o di riscatto cosicché, nel caso in cui l’importo della penale sia inferiore rispetto al valore di liquidazione spettante al socio escluso o riscattato, possa verificarsi la compensazione del debito dovuto dal socio per la penale con il credito al medesimo spettante all’esito della liquidazione delle azioni o delle quote.

Il Consiglio Notarile di Milano, con la massima n. 198, si è dunque espresso favorevolmente in relazione alla legittimità dell’introduzione statutaria di penali di tipo risarcitorio e/o sanzionatorio per la violazione di obblighi statutariamente previsti e, dunque, diversi dagli obblighi di conferimento o di prestazioni accessorie per i quali è prevista ex lege la facoltà di introdurre meccanismi sanzionatori.

Secondo il Consiglio Notarile di Milano, infatti, la legittimità di tali clausole si può desumere, prioritariamente, da alcune disposizione codicistiche che già prevedono ipotesi di carattere sanzionatorio e risarcitorio come conseguenza dell’inadempimento. In particolare, si pensi agli artt. 2344, 2° comma e 2466, 3° comma c.c., nella misura in cui stabiliscono che la società, dichiarato decaduto (o escluso, nelle s.r.l.) il socio moroso, ha il diritto di trattenere le somme già riscosse; si ponga mente, ancora, alla fattispecie prevista dall’art. 2345 c.c.,  il quale prevede che l’atto costitutivo può imporre particolari sanzioni nel caso di inadempimento all’obbligo di eseguire determinate prestazioni accessorie statutariamente identificate, o a quella prevista dall’art. 2346, 6° comma c.c., che stabilisce espressamente la sanzionabilità dell’inadempimento delle prestazioni di apporto d’opera o di servizi gravanti sui sottoscrittori di strumenti finanziari.

A non dissimili conclusioni deve giungersi anche con riferimento alla legittimità delle penali non monetarie e caratterizzate dalla deminutio dei diritti sociali. A favore di questa posizione depone il dato letterale degli artt. 2344, 4 ° comma e 2466, 4° comma c.c., con la previsione della sanzione della sospensione del diritto di voto per il caso di mancata esecuzione dei conferimenti. La medesima sanzione è altresì prevista nella legislazione speciale, a titolo esemplificativo agli artt. 16, 110, 120, 5° comma, e 122, 4° comma, TUF, ove il superamento di un determinato tetto di partecipazione o la violazione degli obblighi di comunicazione comportano, tra l’altro, la sospensione del diritto di voto.

Posta la legittimità di siffatte clausole, il Consiglio Notarile meneghino ne prospetta alcune ipotesi applicative, quali ad esempio “(i) in presenza di una clausola di tag along, allorché il terzo si rifiuti di acquistare le partecipazioni della minoranza che abbia deciso di avvalersi di detta clausola, l’obbligato, socio di maggioranza, potrebbe essere tenuto al pagamento di una penale; (ii) quale sanzione della violazione di un divieto di concorrenza previsto dallo statuto o di obblighi statutari di riservatezza; (iii) in una variante della clausola di roulette russa, che si attiva laddove il socio tenuto all’acquisto delle azioni dell’altro socio non adempia: in tal caso all’altra parte può essere consentito acquistare una partecipazione di misura tale da superare lo stallo per un corrispettivo ridotto a titolo di penale rispetto a quello che deriverebbe dall’applicazione delle norme sulla liquidazione della partecipazione in caso di recesso”.

Con riferimento, invece, alla possibilità di prevedere statutariamente, in caso di esclusione del socio o di riscatto, la compensazione tra l’importo da quest’ultimo dovuto a titolo di penale e l’importo allo stesso spettante derivante dalla liquidazione delle quote o delle azioni, è evidente come tale soluzione possa azzerare il rischio che la società debba agire in giudizio per ottenere il pagamento della somma prevista a titolo di penale.

È altresì evidente che anche le penali statutarie soggiacciono al disposto dell’art. 1384 c.c. secondo il quale il giudice può equamente diminuire la penale qualora l’obbligazione principale sia stata parzialmente eseguita ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che la società aveva all’adempimento.

Autore Riccardo Siligardi

Trainee

Bologna

r.siligardi@lascalaw.com

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