All’amministratore di una società per azioni non è consentito delegare a un terzo poteri che, per vastità dell’oggetto, entità economica, assenza di precise prescrizioni preventive, di procedure e di verifiche in costanza del mandato, facciano assumere al delegato la gestione dell’impresa e/o il potere di compiere le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale, che rimangono di esclusiva competenza degli amministratori.
Nel caso di specie, il consiglio di amministrazione di una società per azioni, dopo che il suo vicepresidente nonché amministratore esecutivo si era dimesso a favore della nomina di un altro amministratore al fine di conformare la società alle c.d. “quote rosa”, adottava una procura a favore dell’amministratore dimissionario in forza della quale quest’ultimo aveva continuato a svolgere la medesima attività in precedenza svolta in qualità di consigliere esecutivo. Alla luce di tale espediente, la Consob sanzionava la condotta dell’organo amministrativo della società. La società adiva la Corte d’Appello di Perugia, la quale accoglieva la tesi della sanzionata, evidenziando che il potere degli amministratori di attribuire poteri a terzi per lo svolgimento gestionale non incontra limiti legali, purché l’organo amministrativo mantenga i poteri di revoca e di controllo sul delegato. La Consob ricorreva dunque per cassazione motivando che la gestione e la rappresentanza della società spettano esclusivamente al consiglio di amministrazione in forza degli artt. 2380 bis e 2384 c.c. e che il conferimento a un terzo estraneo alla società di una delega così ampia aveva, di fatto, svuotato illegittimamente il modello organizzativo della società.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24068 del 3 agosto 2022, ha accolto il ricorso della Consob statuendo che, alla luce delle attribuzioni esclusive degli amministratori e della previsione di cui all’art. 2381, 2° comma, c.c. che prevede la facoltà di delegare attribuzioni ad un comitato esecutivo costituito in seno al consiglio di amministrazione, è “palese l’intenzione della legge d’impedire cristallizzazioni di potere, tali da esautorare o perlomeno limitare la fisiologia della società, attraverso il divieto di nominare gli amministratori per un periodo superiore a un triennio e il potere di revoca da parte dell’assemblea. Fa da pendant a tale assetto il potere di rappresentanza generale dell’amministratore, con l’inopponibilità ai terzi di eventuali limitazioni, pur se pubblicate. Come si vede, trattasi di un ordinamento predefinito, che non permette deroghe. L’amministratore non può spogliarsi dei suoi poteri, ai quali corrispondono i doveri derivanti dal ruolo, delegando a terzi d’amministrare la società, così aggirando le norme che si sono andate esaminando, o, comunque, rendendo vieppiù difficile verifiche, controlli e direttive”.
La Suprema Corte chiarisce, infine, che il principio suesposto non deve essere interpretato come un impedimento alla facoltà dell’amministratore di delegare a un terzo il compimento di uno o più atti o lo svolgimento di una attività, a patto che, attraverso la delega, per ampiezza, rilievo economico e durata nel tempo, non si ponga in essere un succedaneo del potere di amministrare la società, assegnato dalla legge esclusivamente agli amministratori, i quali dell’esercizio di tale potere sono infatti chiamati a rispondere dinanzi alla società ai sensi dell’art. 2392 c.c..