La vicenda analizzata trae origine da un giudizio di opposizione tardiva a decreto ingiuntivo ex art. 650 c.p.c., proposto dal debitore esecutato nel termine assegnato dal Giudice dell’Esecuzione, in ossequio ai principi di cui alla sentenza n. 9479 resa dalle Sezioni Unite della Cassazione in data 6/04/2023.
Il Tribunale di Bergamo ha dichiarato l’inammissibilità dell’opposizione tardiva sul rilievo che l’opponente si è limitato genericamente ad invocare l’intervento giudiziale per l’accertamento del carattere abusivo, ovvero vessatorio degli elementi accessori del contratto di finanziamento, richiesto alla Banca e posto alla base del decreto ingiuntivo azionato in sede esecutiva, senza circoscrivere la domanda nell’ambito delle clausole che abbiano incidenza sull’esistenza e l’ammontare del credito azionato.
La pronuncia analizzata è rilevante in quanto permette di verificare in concreto le condizioni necessarie per poter usufruire dello strumento giudiziale inaugurato dall’importante arresto nomofilattico.
Difatti, la tutela effettiva rimediale, configurata dalla CGUE e fatta propria dalle note Sezioni Unite con la sentenza n. 9479/2023, imporrebbe al Giudice dell’opposizione l’accertamento d’ufficio dell’abusività delle clausole nel caso in cui tale profilo non sia stato oggetto di rilievo da parte del Giudice del monitorio.
Tuttavia, il Tribunale di Bergamo ha sottolineato che il controllo officioso sulla nullità delle clausole contrattuali deve essere condotto sulla base delle contestazioni mosse dall’opponente: “dalla giurisprudenza costante della Corte [eurounitaria] risulta che il giudice nazionale è tenuto a esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e, in tal modo, a ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista, laddove disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine […] “è chiaro che se questi elementi di fatto non sono introdotti con chiarezza dalla parte che ha un precipuo interesse al loro ingresso nel giudizio, il giudice deve arrestarsi”.
Nel caso in esame, l’inammissibilità dell’opposizione tardiva è stata pronunciata proprio sul rilievo dell’atteggiamento assunto dall’opponente: “parte attrice sia rimasta sostanzialmente inerte rispetto alla rappresentazione dello svolgimento patologico della relazione contrattuale ossia in merito alla eventuale applicazione di clausole contrattuali inefficaci potenzialmente incidenti sull’esistenza e l’ammontare del credito. In tale caso l’invocato controllo giudiziale rispetto all’esistenza o meno di clausole vessatorie finisce per essere del tutto scollegato dal bene della vita oggetto della tutela giurisdizionale: quest’ultimo è l’accertamento dell’esistenza e l’ammontare del credito e non anche un generalizzato sindacato di carattere inquisitorio rispetto al quale l’interesse concreto della parte. Non è pensabile che nel giudizio civile – fondato sulla terzietà del Giudice e sul principio dispositivo – sia il giudice ad andare alla ricerca di quei fatti che possano portare a ritenere che il professionista abbia applicato clausole contrattuali affette dalla presunzione di vessatorietà di cui all’art. 33 del Cod. Consumatore: il controllo ufficioso sulla nullità delle clausole contrattuali e sulla rilevanza del giudizio ai fini dell’accoglimento della domanda di accertamento negativo del credito o della verifica dell’interesse ad agire deve, infatti, essere fatto sulla base del quadro assertivo che la parte ha introdotto nel processo e non prescindendo da esso. […] il rispetto del principio dell’effettività non può giungere al punto di supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato”.
Ne discende che, nella fattispecie in oggetto, il Giudice ha dichiarato l’inammissibilità della domanda attorea con conseguente rigetto dell’ammissione della generica richiesta CTU contabile, diretta ad accertare il carattere abusivo o usurario delle clausole contrattuali.