“Nell’ambito del concordato preventivo l’art. 168 l.f. dispone che, a partire dalla data di pubblicazione della domanda presso il registro delle imprese, non possano essere iniziate o proseguite azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore. L’azione monitoria ha natura cognitiva, per cui il creditore può farvi ricorso anche dopo la pubblicazione della domanda di concordato”.
Così si è espresso il Tribunale di Sondrio ad esito di una causa di opposizione a decreto ingiuntivo. Nel caso di specie gli attori opponenti hanno convenuto in giudizio un istituto di credito al fine di ottenere la revoca del provvedimento monitorio, eccependo la nullità dell’azione giudiziale intrapresa dalla creditrice successivamente alla pubblicazione della domanda di concordato preventivo della debitrice principale, in quanto, asseritamente, violativa del piano concordatario e dei principi espressi dalla legge fallimentare in materia di concordato con continuità aziendale.
Nella propria argomentazione il Giudice ha ritenuto infondata la tesi avversaria posto che ”il procedimento monitorio dà ingresso ad un’azione di cognizione ordinaria, con forme processuali speciali ed è caratterizzato da una unità funzionale fra le due fasi (quella monitoria, inaudita altera parte, e quella — a contraddittorio integro – di opposizione), benché la seconda sia solo eventuale. A differenza di quanto accade nella procedura concorsuale, nella procedura concordataria, il ricorso per decreto ingiuntivo risulta esperibile anche dopo la pubblicazione della domanda di concordato”.
Ed invero: “Durante la procedura di concordato preventivo non sono precluse le azioni di cognizione promosse dall’imprenditore in concordato preventivo e contro l’imprenditore in concordato preventivo, secondo quanto desumibile dal disposto normativo di cui all’articolo 168 della legge fallimentare che commina la sanzione dell’ improcedibilità rispetto alle sole azioni esecutive; tuttavia, per dare sostanziale attuazione al principio della par condicio creditorum, il fatto che il credito si sia originato – nei confronti dell’imprenditore in concordato preventivo – con sentenza di condanna pronunziata dopo il deposito della domanda (proposta) di concordato, non impedisce che verso quel credito operi la falcidia concordataria, e ciò ogni qual volta le ragioni creditorie fatte valere traggano la loro origine da data antecedente la domanda (proposta) di concordato. All’intimazione dell’atto di precetto con il quale si voglia in particolare dare attuazione a quelle ragioni, segue quindi, in quanto l’atto sia opposto, la pronunzia di sospensione della esecutività del titolo che lo legittima” (cfr. Tribunale Bologna Sez. IV Ord., 21/05/2015).
In altre parole, la conseguibilità di un titolo esecutivo non può certo essere revocata in dubbio: principio, questo, che emerge dall’intero tessuto della materia fallimentare per cui le azioni esecutive, quelle soltanto, non possono essere iniziate o proseguite dopo la dichiarazione di fallimento o il deposito del ricorso per Concordato Preventivo, restando di certo possibile che il creditore acquisisca, quanto meno, il diritto a veder consolidato il proprio credito
Continuando la lettura del provvedimento in commento si segnala che il Giudice non ha sposato neppure i rilievi di parte attrice circa l’effetto esdebitatorio del concordato della debitrice principale nei confronti dei fideiussori “stante il chiaro disposto dell’articolo 184 L.F., che lascia impregiudicati i diritti dei creditori nei confronti di coobbligati, fideiussori e obbligati in via di regresso del debitore”.
Fatte queste premesse il Tribunale ha proseguito con l’analisi delle ulteriori contestazioni ed ha rigettato l’avversa eccezione in tema di presunta decadenza ex art. 1957 c.p.c. così argomentando: “L’articolo 169 R.D. 267 del 1942 stabilisce che alla domanda di presentazione del concordato preventivo si applica, tra gli altri, l’articolo 55 del medesimo decreto. Poiché, ai sensi dell’articolo 55, comma secondo, legge fallimentare, i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti alla data di dichiarazione del fallimento, stante il disposto dell’articolo 1957 c.c., al fine di dimostrare la cessazione del vincolo obbligatorio del fideiussore, gli attori opponenti avrebbero dovuto provare che la banca non avesse agito in sede concordataria per il riconoscimento del proprio credito nei confronti della debitrice principale entro il termine di sei mesi decorrente dal 19 luglio 2018, data del deposito in Cancelleria della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo .Tuttavia, parte attrice non ha fornito alcuna prova dell’intervenuta decadenza ex articolo 1957 c.c. dell’Istituto di credito e pertanto tale eccezione non merita accoglimento. Da ciò consegue che, in ogni caso, la fideiussione omnibus rilasciata dalla società opponente è valida ed efficace e la banca non è decaduta dall’azione nei confronti della stessa (e nei confronti dei soci illimitatamente responsabili)”.
L’opposizione è stata pertanto respinta integralmente con conseguente conferma del decreto ingiuntivo e condanna alle spese legali in favore della creditrice.