Con la recente sentenza in commento, tra le altre, il Tribunale di Modena ha affrontato la attualissima questione relativa alle conseguenze dell’accertamento della concessione abusiva del credito nei contratti di finanziamento garantiti da MCC.
In particolare, il giudice ha ritenuto che non sia seriamente “sostenibile, come allegato in citazione, che alla asserita condotta illecita della banca finanziatrice di c.d. “concessione abusiva del credito” consegua, per ciò solo, la nullità del contratto di finanziamento e correlate fideiussioni”.
E’ di tutta evidenza, infatti, secondo il Tribunale, che la concessione abusiva del credito non assurge a causa di nullità – sotto il versante genetico (causale) – del contratto di finanziamento e correlate fideiussioni, ma, al più, può assumere rilievo, in sede civile, sotto il versante risarcitorio, ovviamente solo laddove risultino provati gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano ascritto alla banca.
Inoltre, il giudice ha precisato che “legittimati attivi a far valere la suddetta condotta illecita a fini risarcitori (nei confronti della banca autrice dell’illecito, in concorso con gli amministratori) sono solo i creditori della società finanziata che si assumono danneggiati nonché, una volta apertasi la procedura concorsuale, il Curatore a nome della massa dei creditori (cfr. Cass.n. 18610 del 30/06/2021), non già i fideiussori della società finanziata (soci ed anche amministratori nella specie)”.
Secondo la ricostruzione operata dal Tribunale, nel caso di abusiva concessione da parte della banca di nuovi finanziamenti a società già in stato di dissesto economico, “la tutela specifica dei fideiussori è rappresentata, nella specie, dall’art. 1956 c.c., la cui violazione, lungi dal comportare la nullità della fideiussione (come dedotto), può al più integrare gli estremi della decadenza della banca dal diritto di escutere la fideiussione, con conseguente liberazione del garante.”.
Liberazione che, nel caso di specie, il giudice ha escluso per diverse ragioni.
In primo luogo, in quanto il fideiussore non ha fornito la prova né della concessione di un nuovo finanziamento successivo al rilascio delle fideiussioni né del peggioramento delle condizioni economiche della società garantita.
Nella fattispecie in esame, la fideiussione riportava espressamente una clausola che prevedeva l’obbligo del fideiussore di tenersi informato sull’andamento del rapporto garantito, in deroga all’art. 1956 c.c.
Ed anche qualora, in ipotesi, non fosse stata prevista la clausola derogatoria sopraindicata (o fosse stata dichiarata nulla), l’infondatezza della censura sarebbe conseguita al rilievo, in via assorbente, che, per pacifica giurisprudenza, la “mancata richiesta di autorizzazione non può …configurare una violazione contrattuale liberatoria se la conoscenza delle difficoltà economiche del debitore principale è comune, o dev’essere presunta tale, come nell’ipotesi in cui debitrice sia una società nella quale il fideiussore ricopre la carica di amministratore o di socio (Cass. 21 febbraio 2006, n. 3761, in termini Cass. n. 54/2021, da ultimo Cass. ord. n. 20713 del 17/07/2023 ma v. già, in ordine ai rapporti sociali, la più risalente sentenza 3 agosto 1995, n. 8486)”.
Ciò in quanto la protezione accordata dall’art. 1956 c.c. al fideiussore è declinazione del canone di buona fede solidaristica nell’esecuzione del rapporto: canone di valutazione bilaterale, che guarda al comportamento di entrambe le parti e postula l’estraneità, incolpevole, del fideiussore alla sfera di controllo del rapporto garantito.
Nella fattispecie in esame, al contrario, l’opponente risultava essere non solo socio della società mutuataria, ma anche consigliere del consiglio di amministrazione al momento della richiesta del finanziamento e sottoscrizione delle fideiussioni in esame.
Per tale ragione, secondo il giudice, avrebbe potuto/dovuto, in ossequio ai canoni di correttezza e buona fede, oltreché diligenza e perizia correlati alla posizione rivestita, essere a conoscenza della strategia aziendale della società nonché delle sue condizioni patrimoniali (contribuendo, semmai, con il rilascio delle fideiussioni, ad alimentare il ricorso abusivo al credito anziché segnalare, prontamente, nelle apposite sedi, la crisi dell’impresa, qualora ritenuta irreversibile).
Sulla base di queste argomentazioni, il giudice ha, quindi, ritenuto inconferente l’eccezione relativa alla nullità del finanziamento per concessione abusiva del credito e infondata l’eccezione di liberazione ex art. 1956 c.c., rigettando l’opposizione.