L’insussistenza di alcun obbligo normativo volto ad indicare, nell’ambito dei contratti di mutuo, il Tasso Annuo Effettivo (TAE) è stata recentemente confermata da una pronuncia resa dalla Corte di Appello di Torino, che ha pienamente aderito alla ricostruzione proposta della difesa della Banca sul punto ed incentrata sul tenore interpretativo di cui all’art. 6 della Delibera Cicr, invocato da controparte.
Difatti, tra le diverse questioni affrontate, degno di nota appare proprio il capo della sentenza in forza del quale l’appellante, a fronte dell’asserita violazione dell’art. 117 TUB nonché dell’art. 6 della delibera Cicr del 09.02.2000, contestava la mancata indicazione in contratto del TAE, con conseguente declaratoria di nullità parziale del contratto di mutuo oggetto di contestazione. A fronte di una simile doglianza, l’Istituto di Credito evidenziava come l’art. 6 della predetta disposizione prescrive la necessità di indicare in contratto il valore del tasso su base annua tenuto conto degli effetti della capitalizzazione, ma soltanto laddove venga rintracciata una capitalizzazione infrannuale degli interessi, fattispecie non attinente ai contratti di mutuo. In aderenza a quanto sopra, la Corte ha inteso chiarire come tale tipologia contrattuale sia caratterizzata da un meccanismo restitutorio degli interessi che esclude qualsiasi fenomeno di capitalizzazione infrannuale degli stessi. In ispecie, la Corte d’Appello ha osservato che: “nei mutui con ammortamento alla francese come quello in oggetto, non esiste alcuna capitalizzazione infrannuale degli interessi ma solo il frazionamento dell’obbligo restitutorio. Ogni rata è composta da una quota di capitale ed una quota di interessi e, siccome la rata è di importo costante, nel corso del tempo la quota capitale contenuta in ciascuna rata progressivamente aumenta e la quota interessi proporzionalmente diminuisce. Il meccanismo restitutorio assicura che gli interessi contenuti in ciascuna rata siano calcolati sul capitale residuo, che via via decresce, senza alcuna capitalizzazione degli interessi. Soltanto in caso di mancato pagamento, sono dovuti, sulle rate insolute, gli interessi di mora, ma ciò attiene alla fase patologica del rapporto e quindi esorbita dal disposto dell’art. 6 della Cicr sopra richiamata, il quale è invece applicabile ai rapporti come quello di conto corrente o di apertura di credito, in cui gli interessi passivi periodicamente sono portati a capitale”. Ragion per cui, non soltanto non è censurabile l’omessa indicazione del TAE ex adversocontestata, ma a fortiori, la pronuncia in commento ha altresì precisato l’applicabilità dell’art. 6 della delibera Cicr ai soli rapporti di conto corrente ovvero di apertura di credito proprio a fronte del trattamento periodico degli interessi connaturato a tale specifica categoria contrattuale.
La pronuncia in discorso ha poi affrontato due ulteriori tematiche avvalorando, in senso confermativo, un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato con riferimento, sia alla funzione assolta dalla clausola di salvaguardia, sia avuto riguardo alle conseguenze sanzionatorie cui involge l’asserita violazione dell’ISC. Invero, la Corte d’Appello ha escluso ex se la ricorribilità di alcun fenomeno usurario a fronte dell’intervenuta pattuizione della clausola di salvaguardia volta a contenere entro i limiti normativamente imposti la corresponsione degli interessi: in particolare il Collegio ha precisato l’impossibilità fattuale della Banca a richiedere il versamento di interessi oltre soglia proprio in forza di tale meccanismo di calcolo che riconduce la richiesta entro i limiti di legge. In ordine poi alla presunta discrasia dell’ISC, concordemente all’indirizzo maturato in materia, la decisione de qua ha rimarcato il valore di sintesi del predetto parametro che, in quanto tale, non rientra nel novero di tasso, prezzo o condizione contrattuale, con conseguente inapplicabilità dell’art. 117 TUB.
Le suesposte considerazioni hanno quindi condotto la Corte d’Appello di Torino a confermare la sentenza resa dal Giudice di prime cure, con conseguente condanna dell’appellante alla refusione delle spese di lite del doppio grado di giudizio sia pure compensate in luogo dell’evoluzione giurisprudenziale imperante in materia.
Corte App. Torino, 05 maggio 2020, n.464Diana Paola Franchetti – d.franchetti@lascalaw.com
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