Il mark to market (MTM) non costituisce l’oggetto del contratto di Swap, in quanto esso è rappresentato dallo scambio di differenziali calcolati su un determinato importo, detto nozionale, ad una determinata scadenza. Questo è il principio ribadito dal Tribunale di Milano, con la recente sentenza n. 1717 del 4 marzo 2023, in esame.
Il Giudice milanese ha, inoltre, tenuto a sottolineare come non corrisponda al vero che il MTM sarebbe stato considerato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (v. Cass. S.U. n. 8770/2020) tra gli elementi essenziali di un Interest Rate Swap (IRS), come talvolta si tende ad affermare.
Le Sezioni Unite si sono, infatti, occupate solo del problema relativo ai derivati stipulati da Comuni italiani sulla base della normativa amministrativa vigente sino al 2013 (in seguito la legge ha espressamente escluso la possibilità di una tale stipulazione aleatoria) e, in quel contesto, si sono limitate a rilevare che l’Ente locale può stipulare un derivato di copertura solo a fronte di una precisa determinabilità del criterio del mark to market, dei c.d. scenari probabilistici e dei cd. costi occulti.
Il chiaro intendimento della Suprema Corte a SS.UU. era, infatti, quello di ridurre il più possibile il rischio assunto dal Comune e di richiedere la piena consapevolezza dell’Ente dell’alea sottostante il contratto, in considerazione del rispetto dei principi di prudenza della contabilità pubblica e degli impegni di spesa assunti col bilancio comunale.
Il Tribunale di Milano ha, quindi, ribadito che i passaggi riguardanti il mark to market esistenti nella citata, nota pronuncia delle Sezioni Unite non hanno affatto portata generale e non si applicano al rapporto tra privati.
Rifacendosi, quindi, ad autorevoli precedenti di Cassazione, il Tribunale ha sottolineato ancora che il mark to market non esprime affatto un valore concreto e attuale, ma solo una proiezione finanziaria di un valore teorico in caso di risoluzione anticipata, la cui attualizzazione è condizionata da una serie di fattori ed è quindi sistematicamente aggiustato in funzione dell’andamento dei mercati finanziari, oltre che del valore dell’up front e del compenso dell’Istituto.
La sentenza in commento precisa ulteriormente che: “il mark to market è, dunque, tecnicamente un valore e non un prezzo, una grandezza monetaria teorica calcolata per l’ipotesi di cessazione del contratto prima del termine naturale”.
Di conseguenza, soggiunge il Tribunale, la mancata indicazione nel contratto di tali metodi e formule per calcolare il mark to market non può condurre alla dichiarazione di nullità del contratto; infatti, per la Suprema Corte (v. Cass. S.U. n. 8770/20), il mark to market rappresenta il costo al quale una parte può anticipatamente chiudere il contratto o un terzo estraneo all’operazione è disposto, alla data della valutazione, a subentrare nel derivato: così da diventare, di fatto, il valore di mercato dello swap (si tratta, dunque, di una simulazione giornaliera di chiusura della posizione contrattuale e di stima del conseguente debito/credito delle parti).
Pertanto, il mark to market non attiene né all’oggetto del contratto di Swap (che, come detto, consiste nello scambio di differenziali calcolati su un certo importo, detto nozionale, ad una determinata scadenza), né alla causa del contratto, che è data dalla negoziazione e monetizzazione di un rischio finanziario, che si forma nel relativo mercato.
Decisamente interessante è la conclusione alla quale giunge il Tribunale di Milano – idonea a smentire altre impostazioni di parte della giurisprudenza – per il quale “la mera mancanza dell’indicazione della formula matematica per calcolare il mark to market – ossia il costo al quale una parte può anticipatamente chiudere il contratto o un terzo estraneo all’operazione è disposto, alla data della valutazione, a subentrare nel derivato-, essendo pertinente ad una mera facoltà futura se prevista contrattualmente e comunque eventuale nello svolgimento del programma negoziale voluto dalle parti, non può certamente condurre ad una valutazione di nullità del contratto, posto che per affermare la nullità di un negozio occorre individuare il vizio che inficia gravemente l’atto e che giustifica una condanna così perentoria circa la inidoneità dell’atto a produrre gli effetti voluti dalle parti”.
Alla luce della puntuale disamina del tipo contrattuale da parte del Tribunale di Milano e della coerente e motivata conclusione cui giunge la sentenza in esame, è dunque auspicabile un ripensamento della giurisprudenza che spesso, troppo sbrigativamente, assurge ad oggetto del contratto un elemento, quale il mark to market, avente natura e funzione diversa, finendo per porre nel nulla rapporti contrattuali liberamente voluti e stipulati dalle parti, normalmente a scopo di protezione di un rapporto finanziario sottostante.