Con la pronuncia n.30202 del 16 novembre 2025 la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito
“Richiamando l’articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, il ricorrente deve versare il contributo unificato in misura raddoppiata. Infatti, la norma trova applicazione anche nel caso di cassazione senza rinvio ex art.382, co.3 c.p.c. in esito al ricorso proposto dalla parte privata, perché la “causa non poteva essere proposta” (…) e quindi il ricorrente ha avuto doppia-mente torto e l’intero giudizio si è rivelato del tutto superfluo.”
La vicenda trae origine da un ricorso promosso da un amministratore e socio unico di una società, poi dichiarata fallita. Nello specifico, il ricorrente aveva agito per impugnare gli atti tributari emessi dall’Agenzia delle Entrate in relazione ad una frode carosello – a seguito di indagine penale per la quale era stato disposto il sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p. e nominato il custode giudiziario – che aveva coinvolto l’amministratore della società nonché la stessa società e per cui l’Ente aveva quindi emesso avviso di accertamento per il recupero di quanto evaso.
In realtà, il ricorrente aveva agito nonostante la carenza di legittimazione fosse già stata rilevata in sede di merito.
Il fulcro della vicenda, infatti, riguarda proprio la legittimazione ad agire dell’amministratore. Dal momento in cui era intervenuto anche il fallimento della società ed era stato nominato il curatore, l’amministratore non aveva più la legittimazione ad agire per conto della società, a difesa del suo patrimonio, per la quale, invece, legittimato ad agire è solo il curatore fallimentare, a meno che non vi sia una sua comprovata e rilevante inerzia che fa rivivere la legittimazione di chi legalmente rappresentava l’ente in stato di insolvenza.
Gli Ermellini, dunque, nel respingere il ricorso, ovvero in applicazione dell’art. 382 co.3 c.p.c., hanno ritenuto il ricorrente doppiamente responsabile per aver nuovamente agito e ripetuto l’azione giudiziale contro il Fisco, carente dei requisiti di legge, nonostante i giudici di merito avessero già rilevato la carenza di legittimazione.
Infatti, riprendendo la pronuncia delle Sezioni Unite n.20621/2023 secondo le quali
“è, dunque, proprio e soltanto l’esito integralmente negativo del giudizio di impugnazione che giustifica il maggior costo del servizio imposto al richiedente, il quale ha vanamente sollecitato il riesame di una decisione meritevole di passare in giudicato ed ha fatto svolgere un ulteriore grado di giudizio rivelatosi del tutto superfluo”.
Ciò posto, rispetto la vicenda in esame la Suprema Corte ha quindi enunciato il seguente principio di diritto
“il raddoppio del contributo unificato contemplato dall’art. 13, comma 1- quater, d.P.R. n. 115 del 2002, trova applicazione anche nel caso di cassazione senza rinvio ex art.382, comma 3, cod. proc. civ., in esito a ricorso proposto dalla parte privata, perché la “causa non poteva essere proposta”, dal momento che la sentenza impugnata viene meno, ma solo perché il ricorrente introduttivo ha avuto doppia-mente torto e l’intero giudizio si è rivelato del tutto superfluo”.
Pertanto, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso principale condannando il ricorrente, in favore dell’Agenzia delle Entrate, al pagamento delle spese di lite liquidate in primo grado, per il secondo grado e ritenendo sussistenti i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1-bis.
27.11.2025