17.10.2025 Icon

PIN mal custodito: la negligenza costa cara al cliente

In caso di inosservanza da parte del cliente degli obblighi di custodia dello strumento di pagamento, va esclusa la responsabilità dell’istituto di credito per la perdita subita a seguito di illegittimo prelievo tramite Bancomat.

Nel caso di specie, l’attrice lamentava di aver subito il furto del portafoglio contenente la carta Bancomat, tramite la quale veniva compiuto un prelievo non autorizzato. Pertanto, la stessa conveniva in giudizio la propria banca per ottenere il rimborso della somma sottratta fraudolentemente, affermando che l’istituto di credito non avesse impiegato tutte le misure atte ad evitare manomissioni da parte di terzi.

Il caso: furto della carta e prelievo sospetto

Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice di secondo grado, ribaltando la decisione del Giudice di Pace previamente adito, accoglieva l’appello proposto dalla banca, ritenendo che quest’ultima avesse dato prova, da un lato, di aver adottato misure idonee a garantire la sicurezza del servizio di pagamento Bancomat e, dall’altro lato, della condotta negligente della cliente.

Prima di tutto, il Giudice ha rammentato che l’art. 7 del D. Lgs. 11/2010 individua gli obblighi posti a carico dell’utente, in relazione all’utilizzo degli strumenti di pagamento elettronici o tramite canali a distanza, tra i quali figura soprattutto quello di conservare adeguatamente i dispositivi di accesso personalizzati. Quindi, in sentenza è stato evidenziato che tra il furto ed il prelievo fraudolento era intercorso un lasso temporale di appena 6 minuti e che il prelievo era avvenuto con corretta lettura del chip apposto sulla carta magnetica e digitazione esatta del Pin al primo tentativo, come comprovato dal foglio di fondo depositato dalla banca.

Tali circostanze lasciano ragionevolmente presumere che l’attrice “abbia conservato il codice PIN unitamente alla carta Bancomat, in modo tale da renderlo facilmente associabile allo strumento di pagamento da parte dei malfattori, con ciò venendo meno, in maniera gravemente colposa, agli obblighi di custodia su di sé gravanti ex art. 7 del D.lgs. 11/2010. Tale deduzione discende dall’osservazione per cui la brevità dell’intervallo temporale – di appena 6 minuti – tra il furto della carta Bancomat e l’utilizzo fraudolento della stessa, andato a buon fine al primo tentativo (come può dedursi anche dal fatto che la carta non ha subito il blocco automatico per superamento dei limiti di digitazione errata del PIN), porta ad escludere che gli autori dell’illecito abbiano potuto clonare la carta o porre in essere qualsivoglia condotta di manomissione/hackeraggio al fine di conoscerne il PIN e, nel frattempo, raggiungere lo sportello ATM presso il quale è stato effettuato il prelievo”.

Perché l’ipotesi di clonazione è stata esclusa

Le conoscenze attuali, peraltro, escludono “sia la possibilità di utilizzare presso un ATM la carta con chip senza il ricorso al PIN, sia la possibilità di generare il PIN tramite clonazione del chip con procedure software, mentre ciò sarebbe possibile con procedure hardware, ossia con macchinari che consentano di superare i contatti elettrici che coprono il microchip e leggere i dati memorizzati al suo interno, certamente incompatibili con le dinamiche e le tempistiche del prelievo fraudolento di cui si discute”.

Peraltro, secondo il Tribunale di Roma, l’istituto di credito aveva anche dimostrato di aver predisposto misure idonee a garantire la tutela del cliente e ad evitare l’utilizzo abusivo dello strumento di pagamento da parte di terzi non autorizzati e “non appena effettuato il prelievo fraudolento, ha inviato un SMS di alert per comunicare la disposizione di pagamento, con ciò dimostrando l’effettiva sussistenza di un sistema informativo idoneo a rendere note in tempo reale al cliente le operazioni gestorie e le movimentazioni del conto corrente”.

La sentenza impugnata è stata, pertanto, integralmente riformata.

Autore Simona Daminelli

Partner

Milano

s.daminelli@lascalaw.com

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