È battaglia sul New Deal di Joe Biden per rilanciare l’America. L’inchiostro è ancora fresco sul grande progetto infrastrutturale della Casa Bianca, che a conti fatti si avvicina ai 2.300 miliardi di dollari tra investimenti in trasporti e energia pulita, nel manifatturiero e nel digitale, in ricerca e riqualificazione. Ma, prova del rilievo del disegno, gli schieramenti di chi lo critica come troppo o troppo poco hanno già impugnato le armi. È un assedio che la Casa Bianca dovrà spezzare se vorrà far decollare rapidamente la sua strategia economica: un’inedita, più equa e sostenibile crescita domestica. E una maggior competitività internazionale al cospetto di rivali quali la Cina.
Opposizione dura è stata decretata dai repubblicani. «È un cavallo di Troia – ha attaccato il leader al Senato Mitch McConnell –. Le chiamano infrastrutture ma dentro ci sono più debito ed enormi incrementi delle imposte sulle componenti produttive dell’economia». Resistenze sono state espresse dalla Corporate America, chiamata a finanziare il piano attraverso un rialzo delle aliquote che raccolga circa 2.000 miliardi. «Siamo fortemente contrari all’aumento generale delle imposte – ha denunciato la US Chamber of Commerce –. Rallenterà la ripresa economica e renderà il Paese meno competitivo». Scetticismo ha mostrato un influente Ceo quale Jamie Dimon di JP Morgan.
Ma sono fioccate anche obiezioni di segno contrario, dalle correnti progressiste dei democratici: la deputata Alexandria Ocasio-Cortez ha definito «incoraggianti» le misure ma ha invocato risorse per diecimila miliardi. «Abbiamo forti preoccupazioni che il piano non sia sufficiente», ha detto. Biden dovrebbe aggiungere un secondo capitolo di spesa sociale da mille o duemila miliardi alla componente infrastrutturale nelle prossime settimane.
Il Presidente, per avere chance di far approvare il disegno da un Congresso dove ha maggioranze risicate, ha bisogno del supporto compatto quantomeno del suo partito, se non emergeranno compromessi con i repubblicani. Lo speaker della Camera, Nancy Pelosi, prepara un voto entro il 4 luglio, con il Senato in azione tra estate e autunno.
La Casa Bianca conta sui dettagli del piano – e la spinta che assicurerebbero a cruciali settori dell’economia – per consolidare il sostegno e far breccia tra il business. Gli investimenti delineano un ampio ventaglio di vincitori: tra le righe dei capitoli di spesa, spicca il broadband, con 100 miliardi per estendere il servizio a 30 milioni di americani. Nel manifatturiero d’avanguardia i semiconduttori, terreno di duello strategico con Pechino, ricevono 50 miliardi su 300.
Auto elettrica e mobilità a basso impatto ambientale sono una priorità con pochi pari: 174 miliardi, da incentivi a produttori e consumatori a network nazionali di stazioni di ricarica. Le fonti rinnovabili di energia saranno stimolate dall’eliminazione di emissioni da effetto serra nella rete elettrica entro il 2035. Al farmaceutico vanno 30 miliardi per contrastare future pandemie. E con i trasporti, comprese strade, ponti e ferrovie, che nell’insieme strappano oltre 600 miliardi, vengono privilegiate aziende di costruzione e materiali. L’edilizia si spartirà 230 miliardi. La ricerca universitaria 40 per nuovi laboratori. Alcuni studi ipotizzano, dal piano, la creazione di 13 milioni di solidi impieghi solo tra chi non ha laurea.
Il dibattito è tuttavia aperto, tra gli stessi analisti, sulle ramificazioni del nuovo protagonismo economico del governo. I fautori sottolineano come sia indispensabile: la spesa federale in infrastrutture, ricerca e qualificazione, caduta sotto il 2% del Pil, lieviterebbe dell’1% in otto anni.
In media Biden porterebbe in dote 250 miliardi l’anno, capaci di uno stimolo alla crescita, al netto della nuova imposizione fiscale (spalmata su 15 anni) di almeno mezzo punto durante i primi sette anni. I detrattori replicano citando voci controverse di spesa, non solo in welfare (sono previsti anche 400 miliardi per gli anziani). I 180 miliardi totali in R&D, ammoniscono, costano e potrebbero far poco per innovazione e produttività. Il dossier più spinoso resta quello delle tasse aziendali.
Non solo per l’aliquota alzata dal 21% al 28%, ma per il rafforzamento d’una minimum tax globale (raddoppiata al 21%) e di restrizioni sui profitti delle multinazionali. La Casa Bianca preme per la diffusione di simili regimi: negherà deduzioni a attività Usa di aziende di Paesi con tassazione inadeguata.