09.11.2015

Il puzzle di Renzi per le città “Ma il governo non rischia”

  • La Repubblica
ROMA. «Io mi gioco tutto al referendum. Se lo perdo, vado a casa. Questo discorso non vale invece per le amministrative. So che è una partita in salita, ma non possiamo uscire sconfitti in tutte le città». Matteo Renzi non vuole commettere l’errore che quindici anni fa costrinse Massimo D’Alema alle dimissioni. Dopo il frastuono che ha accompagnato le dimissioni di Ignazio Marino a Roma, il premier cerca allora di circoscrivere il valore della prossima tornata amministrativa. Nessun significato politico, nessun test diretto sul governo o sulla segreteria del partito. Eppure si tratta di un passaggio importante: in primavera è chiamata al voto la “spina dorsale” municipale d’Italia. Le cinque principali città, da nord a sud. E l’incubo dei ballottaggi con il Movimento 5Stelle. «Ma l’osso del collo – ripete il segretario democratico ai suoi fedelissimi – io me lo posso rompere solo al referendum ».
L’appuntamento con le comunali – probabilmente a giugno – resta un banco di prova. A Palazzo Chigi e a Largo del Nazareno lo sanno bene. Ovviamente l’attenzione è concentrate sulle sfide di Roma, Milano, Torino, Bologna e Napoli. Situazioni differenti, certo. Ma accomunate da un velo di incertezza più o meno corposo.
Solo due dei sindaci uscenti sono del Pd. Poi c’è Marino, ma si è già dimesso. Gli altri sono iscritti al campo del centrosinistra, ma non democratici. Un fattore che complica la “corsa”. Soprattutto nella scelta dei prossimi candidati. Basti pensare al rapporto ormai logorato con la sinistra radicale di Sel. «In effetti – ammette ad esempio il ministro dem dell’Agricoltura, Martina – ad eccezione di Milano, dove Pisapia esercita ancora un ruolo di collante, ci saranno quasi ovunque candidati di Sinistra e Libertà ». Un dato che indurrà il Pd ad affrontare “in solitaria” la circumnavigazione di questa prima tappa. Sapendo che i casi più spinosi spuntano almeno in quattro delle città: Roma, Milano, Bologna e Napoli.
La Capitale rappresenta per il Partito democratico la questione più intricata. «Lì – ragionano ai piano alti di Largo del Nazareno – partiamo battuti. Dobbiamo recuperare». Molto, ovviamente, dipenderà da chi sarà il candidato del Movimento 5Stelle. Ma alcuni punti fermi sono stati già piantati. Il primo: «Marchini non sarà mai il candidato del PD». L’idea lanciata nei giorni scorsi dal ministro della Sanità Lorenzin, dell’Ncd, è stata immediatamente scartata da Palazzo Chigi. «Chi scenderà in campo – è il ragionamento – deve essere romano, preferibilmente un nostro uomo e deve essere un politico». Ossia, niente esterni. Né Cantone, né Sabella. Né Gabrielli, né alcuno dei “tecnici” di cui si è parlato. A Largo del Nazareno, allora, iniziano a sgranare il rosario dei possibili candidati. C’è il ministro Madia. Ma non è considerata adatta al tipo di battaglia campale nella quale si trasformerà il Campidoglio. C’è il vicepresidente della Camera Giachetti. «Può arrivare al ballottaggio. Ma poi?». Nella lista compare un nome che fino ad ora non era mai stato preso in considerazione. Si tratta del presidente della Camera, Laura Boldrini. Un identikit adeguato a fronteggiare i grillini e a ricompattare il fronte sinistro. Ma presenta delle controindicazioni: come spiegare agli elettori che la terza carica dello Stato si dimette per fare il sindaco? E poi: chi prenderebbe il suo posto a Montecitorio? L’attuale ministro delle riforme Maria Elena Boschi o quello dei Beni culturali Dario Franceschini? «Il migliore, in teoria sarebbe Delrio – spiegano ai vertici del Pd – ma non è romano. Il più convincente allora è Nicola Zingaretti ». I riflettori stanno puntando proprio sul presidente della Regione Lazio. Il suo ruolo è una forza e nello stesso tempo una debolezza. Se si iscrivesse alla gara, infatti, si dovrebbe cercare un suo sostituto alla Pisana. Di certo, è la convinzione di Renzi, chi sarà candidato dovrà mettere a punto una sorta di «campagna elettorale all’americana: trasporti, nettezza urbana e periferie. Sulla periferia ci si deve impegnare più che sui quartieri centrali. E’ lì che si trovano i voti». La macchina dem si metterà in moto nei primi mesi del prossimo anno. Con un‘idea, appunto «molto obamiana»: volontari in tutte le zone della città a illustrare gli obiettivi dem.
Poi c’è Milano. Nel capoluogo lombardo la selezione è ancora in alto mare. Ieri Sala, l’Ad di Expo, ha confermato la sua «disponibilità a candidarsi ». A Largo del Nazareno lo considerano un’ottima scelta. Ma non quella perfetta e soprattutto «ancora non definitiva ». Insomma, qualche dubbio resta. Anche perché porrebbe plasticamente il problema delle primarie. Renzi ha già annunciato che in partenza non vuole rinunciarci. In partenza, però. In arrivo tutto può cambiare. «La soluzione ideale – ammette ancora Martina – sarebbe quella di arrivare ad un solo nome ovunque. E così evitare le primarie o farle per lanciare la candidatura». Sta di fatto che a Milano la decisione è ancora lontana e alternative concrete ancora non si sono formate.
Si arriva a Napoli. «Un buco nero», sintetizza il ministro dell’Agricoltura. Ma anche il segretario del Pd non è lontano da questa valutazione. «Cosa succede se si presenta Bassolino? ». In Campania le primarie rischiano di confermarsi un caos per il Pd. «Un buco nero».
Anche se le previsioni che vengono da Largo del Nazareno fanno quasi tutte riferimento ad un unico punto cardinale: Vincenzo De Luca. Tra i “big” democratici serpeggia infatti la convinzione che alla fine scenderà in campo lui con un suo “campione”. Un timore, ma anche una soluzione.
I dubbi sono anche il segno di Bologna. La città rossa rischia di sbiadirsi. Tutti i parlamentari emiliani sono netti: «Con Virginio Merola stavolta andiamo a sbattere». L’attuale sindaco ha rotto a sinistra e dentro il suo partito, il Pd, non convince più. Viene considerato un «sopportato», «debole». Il sostituto di cui si è parlato in queste settimane è l’attuale rettore dell’università, Dionigi. Ma la vera carta segreta su cui Palazzo Chigi vuole scommettere è un’altra: Elisabetta Gualmini, politologa con una certa esperienza amministrativa, è vicepresidente della regione Emilia Romagna e assessore alle Politiche sociali.
L’ultimo comune a piena guida dem è Torino. Piero Fassino verrà ricandidato. Ma i timori non mancano. Soprattutto se l’ex segretario Ds non dovesse spuntarla al primo turno. Al ballottaggio, con il M5S i rischi sono considerati altissimi. E la probabile candidata grillina, Chiara Appendino, è giudicata un avversario con tutte le carte in regola.
«Io – spiega ancora Renzi – mi butterò comunque in questa campagna elettorale. Come si dice? Ci metterò la faccia, come ho fatto anche alle precedenti amministrative. Ma si deve sapere che il differenziale per il Pd tra le comunali e le politiche sono dieci punti. Se sulla lista c’è il mio nome o non c’è fa la differenza. Non andrà comunque male. E io resterò comunque al mio posto».