11.07.2012

Il Fmi: bene le riforme, resta il rischio contagio

  • Il Corriere della Sera

ROMA — Il Fondo monetario internazionale (Fmi) promuove con riserva l’Italia. Anche se il governo ha messo in atto «un’ambiziosa agenda per assicurare la stabilità e promuovere la crescita» il nostro Paese resta «vulnerabile al contagio della crisi dell’area euro», conclude il rapporto integrale sulla missione degli economisti di Washington pubblicato ieri. E sono le stime aggiornate, rispetto a quelle anticipate a metà maggio a Roma, a dimostrarlo.
Secondo l’istituzione guidata da Christine Lagarde, «riflettendo l’andamento lento della ripresa, la disoccupazione è prevista raggiungere l’11,1% nel 2013» dal 10,3 di quest’anno. Il deficit viene rivisto al 2,6% nel 2012 e all’1,5% nel 2013. Anche il debito salirà più del previsto: al 125,8% quest’anno e al 126,4% il prossimo.
E la crescita non si intravede: le previsioni sul Pil sono confermate con un calo dell’1,9% nel 2012 che si ridurrà a -0,3% nel 2013. L’inflazione, invece, calerà in Italia solo gradualmente a causa dell’aumento dell’imposizione fiscale indiretta che ha parzialmente compensato una domanda diventata più debole: i prezzi al consumo, che hanno toccato il +3,5% a maggio, dovrebbero attestarsi al 3% quest’anno e al 2,1% nel 2013.
Il punto, precisa l’Fmi, è che «malgrado un significativo risanamento dei conti, gli spread sui titoli di stato italiano restano elevati, e il volume annuale di debito in scadenza per lo Stato e per le banche è sostanziale». Anche ieri infatti lo spread Btp-Bund ha chiuso a 460,4 punti base, in lieve ribasso sull’apertura a 477 punti base, e con il rendimento del Btp a 10 anni al 5,92%. E le Borse, nonostante l’accordo raggiunto all’Eurogruppo e le misure per la crescita, sono rimaste caute: Piazza Affari ha chiuso in moderato rialzo, a +0,4%.
Il Fondo raccomanda al governo Monti, ma anche alle forze politiche che lo sostengono, di procedere sulla strada delle riforme, senza le quali «la crescita potenziale continuerà a restare debole», pregiudicando ogni possibilità di una seria ripresa dell’economia. Il Fondo invita anche a non sottovalutare la situazione del sistema bancario italiano che «continua a dipendere pesantemente dal sostegno finanziario dell’Eurosistema» e che dovrebbe «mantenere livelli di capitale e di liquidità adeguati». In particolare, «il consistente stock di asset deteriorati e la crescente esposizione verso i debiti sovrani rende le banche vulnerabili di fronte al rallentamento dell’economia e agli stress sui mercati».
Sui conti pubblici, la raccomandazione dell’Fmi è quella di andare «verso un taglio delle spese e una riduzione delle tasse». Promossa la riforma del lavoro, anche se per l’istituzione può essere fatto di più «per colmare il gap tra lavoratori a tempo indeterminato e precari, migliorare la partecipazione al mercato del lavoro». Come del resto confermano i dati forniti ieri dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, che nel suo Employment Outlook pubblicato ieri, ha tracciato stime fosche sui disoccupati totali dei Paesi membri: 47 milioni 700 mila, 14,1 milioni in più rispetto al 2008.
Quanto all’Italia, la disoccupazione dovrebbe salire dall’8,4% del 2010 e del 2011 al 9,4% nel 2012 e al 9,9% nel 2013. La crisi, secondo il rapporto, colpisce soprattutto i giovani e i lavoratori non qualificati: in Italia uno su due è precario e aumentano anche i disoccupati di lungo corso. La previsione dell’Ocse è che in Italia «la disoccupazione continui a aumentare». Nè potrebbe essere altrimenti dato che le imprese continuano ad arrancare: la gigantesca iniezione di liquidità effettuata dalla Banca centrale europea a favore del sistema bancario sembra non riuscire a trasferirsi alle aziende italiane, sia a causa dell’estrema debolezza dell’economia, sia per la riluttanza degli istituti di credito a concedere fondi nel timore di incorrere in maggiori sofferenze.
Secondo Banca d’Italia, a maggio il tasso di crescita sui 12 mesi dei prestiti al settore privato è sceso allo 0,7% rispetto all’1,7% di aprile. Eppure qualcosa si muove nel Paese. Un timidissimo segnale arriva dalla inattesa crescita della produzione industriale: secondo i dati Istat diffusi ieri, a maggio l’indice destagionalizzato è salito dello 0,8% su base congiunturale a fronte di stime per un calo dello 0,2%. Su base tendenziale la produzione invece resta in calo, -6,9%, ma l’attesa era per una flessione più ampia (-8,3%).