“In tema di applicazione dell’art. 2912 c.c., l’estensione del pignoramento agli accessori, alle pertinenze e ai frutti della cosa pignorata normalmente non opera nel caso in cui le pertinenze siano dotate di autonomi dati identificativi catastali non espressamente menzionati nell’atto di pignoramento, in difetto di ulteriori ed altrettanto univoci elementi in senso contrario (ricavabili, ad esempio, da idonee menzioni nel quadro relativo alla descrizione dell’oggetto o nel quadro “D” della nota meccanizzata, o dall’atto di pignoramento)”.
Con la sentenza in commento la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito come, solo in presenza di ulteriori ed univoci elementi fattuali evincibili da idonee menzioni nel quadro relativo alla descrizione dell’oggetto o nel quadro “D” della nota meccanizzata, o dall’atto di pignoramento stesso, possa operare la presunzione di estensione del pignoramento alle pertinenze, ai frutti e agli accessori della cosa.
La vicenda prende le mosse da un’esecuzione immobiliare con la quale la Banca procedente sottoponeva a pignoramento talune unità immobiliari, limitandosi a dichiarare di voler altresì pignorare tutte le relative pertinenze e accessioni annesse al bene principale.
Nel corso dell’esecuzione, il Giudice onerava la creditrice di rettificare la nota di trascrizione del pignoramento demandando, poi, le ulteriori verifiche tecniche del caso al CTU.
Nelle more, l’esecutata proponeva comunque istanza di estinzione della procedura che veniva rigettata dal Tribunale. Avverso l’ordinanza di rigetto, veniva dalla stessa proposta opposizione lamentando l’assoluta incertezza sull’identificazione del bene e la conseguenziale nullità del pignoramento, essendosi la Banca limitata ad indicare, nella nota di trascrizione rettificata, dei subalterni non più esistenti senza procedere al pignoramento degli stessi e, in particolare, di una pertinenza funzionale alla vendita dell’intero compendio staggito.
Il Tribunale rigettava la fase cautelare dell’opposizione rilevando, da un lato, che i riferimenti catastali degli immobili come identificati nel mutuo originario, e dunque non più esistenti, fossero comunque collegati a quelli attuali e, dall’altro, che non vi fosse la necessità di estendere il pignoramento alla pertinenza in questione, dal momento che la stessa, essendo priva di autonomia strutturale e funzionalmente legata all’immobile pignorato, dovesse ritenersi presuntivamente pignorata ex art. 2912 c.c.
Introdotto successivamente il merito, il Tribunale rigettava anche quest’ultimo.
Avverso detta sentenza, la debitrice proponeva ricorso per Cassazione, deducendo, tra l’altro, con il primo motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 2912 c.c. essendo la pertinenza dotata di un proprio identificativo catastale.
La Suprema Corte chiamata a pronunciarsi, ha dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto il giudice di prime cure, nel risolvere le questioni di diritto, si era pronunciato in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità e, al contempo, l’esame dei motivi non offriva elementi per mutare l’orientamento della stessa.
Infatti secondo i giudici di legittimità, per giurisprudenza consolidata, l’errore sui dati catastali non provoca la nullità del pignoramento se non genera incertezza assoluta sul bene pignorato e, in particolare, se permangono elementi idonei a escludere l’incertezza sull’identità del bene e vi sia “continuità” tra i vecchi e i nuovi dati catastali, operando in tal caso la presunzione ex art. 2912 c.c. di estensione automatica degli effetti del pignoramento agli accessori, pertinenze, frutti miglioramenti, o addizioni o accessioni.
Calati nel caso di specie gli insegnamenti costanti testé riportati, i Giudici della Cassazione hanno scrutinato l’iter motivazionale del Giudice di prime cure evidenziando come la sentenza, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, avesse accertato con motivazione ineccepibile l’estensione del pignoramento alla pertinenza in questione, proprio in quanto tale, non essendo smentita da contrari elementi fattuali la presunzione vigente.
In conclusione, la Suprema Corte, dichiarati inammissibili anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso, ha condannato parte ricorrente al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dalla normativa vigente in materia.
13.11.2025