La Suprema Corte, con la sentenza n. 15237 del 7 giugno 2025, fornisce interessanti spunti per una riflessione sul tema dei limiti entro i quali il giudizio di opposizione a precetto possa estendersi a domande ulteriori rispetto a quella tipica di accertamento negativo del diritto di procedere ad esecuzione forzata. In particolare, la Corte di Cassazione si è soffermata sulla possibilità che, in tale sede, l’opponente proponga domanda di divisione ereditaria, affrontando il nodo interpretativo concernente l’ammissibilità del cumulo processuale ai sensi dell’art. 104 c.p.c.
La vicenda prende le mosse da un giudizio avente ad oggetto la condanna al pagamento di somme in favore di una persona sottoposta ad amministrazione di sostegno. A seguito della morte della beneficiaria, la figlia, in qualità di coerede, intimava precetto al fratello – già condannato in sede di merito – per ottenere il pagamento della quota ereditaria spettantele. Quest’ultimo proponeva opposizione, sostenendo l’impossibilità di azionare in via esecutiva un credito ereditario finché perdurava la comunione, chiedendo, al contempo, lo scioglimento della comunione ereditaria.
Il Tribunale rigettava l’opposizione, affermando la possibilità per ciascun coerede di agire esecutivamente anche pro indiviso, escludendo la possibilità di proporre la domanda di divisione in quanto priva di legami con l’opposizione. La Corte d’Appello, investita del gravame, ribaltava parzialmente la decisione, ritenendo non eseguibile il credito in pendenza di comunione, confermando, comunque, l’inammissibilità della domanda di divisione. La controversia approdava, infine, innanzi alla Suprema Corte, la quale si pronunciava tanto sul ricorso principale della sorella creditrice, quanto sul ricorso incidentale del fratello opponente.
Un primo profilo affrontato dai Giudici di legittimità riguardava la formazione del giudicato interno. Il Tribunale aveva ritenuto che, per effetto della confusione tra il credito vantato dal coerede nei confronti della de cuius e il debito da lui contratto verso la stessa, la comunione ereditaria si fosse estinta, residuando solo la quota spettante alla sorella. Tale statuizione, fondata sulla sequenza logica di fatto, norma ed effetto, non essendo stata censurata in appello, era idonea a passare in giudicato interno e non poteva essere rimessa in discussione dal giudice di secondo grado.
Ma l’aspetto più rilevante della decisione riguarda la questione dell’ammissibilità della domanda di divisione proposta in sede di opposizione a precetto. I giudici di merito avevano ritenuto tale domanda inammissibile in assenza di un nesso di connessione con l’accertamento negativo del diritto di procedere all’esecuzione. La Cassazione, invece, ha accolto il motivo di ricorso incidentale, qualificando la domanda non come riconvenzionale, bensì come domanda aggiuntiva, pienamente compatibile con l’oggetto del giudizio.
Il Supremo Collegio ha richiamato l’art. 104 c.p.c., che consente il cumulo soggettivo e oggettivo di domande anche quando esse non presentino profili di connessione, purché siano rivolte contro la stessa parte. La divisione ereditaria, pertanto, può essere introdotta nel giudizio di opposizione a precetto, rientrando tra le ipotesi di cumulo processuale consentite, salva la possibilità per il giudice di disporre la separazione dei procedimenti ove la gestione congiunta risulti pregiudizievole per l’economia del processo.
La Corte di Cassazione ha dunque affermato un principio di particolare rilievo: nel giudizio di opposizione a precetto non solo è possibile introdurre la domanda tipica di accertamento negativo del diritto di procedere all’esecuzione, ma è altresì ammissibile la proposizione di domande ulteriori, anche non connesse, purché rivolte alla stessa parte, ai sensi dell’art. 104 c.p.c.
La decisione si colloca in un’ottica di favor per la concentrazione processuale, volta a ridurre la frammentazione dei giudizi e a garantire una tutela più completa ed effettiva.
13.11.2025