
Quale valenza probatoria assume il rifiuto di sottoporsi all’esame del DNA nell’ambito di un procedimento di riconoscimento della paternità?
A decidere sulla specifica questione è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 28444 emessa il 12 ottobre 2023.
Nel caso di specie il Tribunale di Terni accoglieva la domanda di accertamento della paternità proposta da una figlia nei confronti del padre.
La sentenza di primo grado veniva poi confermato anche in appello.
In particolare il giudice di seconde cure escludeva che l’ammissione di una consulenza tecnica genetica fosse subordinata all’esito della prova storica dell’esistenza di una relazione o di un rapporto sessuale tra la madre e il presunto padre e negava che il rifiuto espresso dal padre a sottoporti a sottoporsi al test genetico potesse considerarsi giustificato in ragione del fatto che all’interno del giudizio non era stata fornita alcuna prova orale o documentale in ordine alla cennata relazione.
La corte d’Appello concludeva dunque nel ritenere che il giudice di primo grado avesse correttamente valorizzato il reiterato e ingiustificato rifiuto del padre, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2, ai fini dell’accoglimento della domanda.
Tenuto conto dell’esito del giudizio di appello, il padre proponeva ricorso per cassazione.
La Corte di Cassazione chiarisce che, in forza di un orientamento consolidato, nei giudizi volti alla dichiarazione giudiziale di paternità, l’ammissione degli accertamenti immuno-ematologici non è subordinata all’esito della prova storica dell’esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre, giacché il principio della libertà di prova, sancito, in materia, dall’art. 269 c.c., comma 2, non tollera surrettizie limitazioni, né mediante la fissazione di una gerarchia assiologica tra i mezzi istruttori idonei a dimostrare quella paternità, né, conseguentemente, mediante l’imposizione, al giudice, di una sorta di “ordine cronologico” nella loro ammissione ed assunzione, avendo, per converso, tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge.
Una diversa interpretazione finirebbe con l’essere un sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione in relazione alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo status.
I Giudici di legittimità escludono dunque in radice che i figli debbano fornire una prova o un principio di prova in ordine all’esistenza di una relazione tra la propria madre ed il presunto padre antecedentemente all’ammissione della C.T.U. avente ad oggetto l’esame del D.N. A.
Da ciò ne discende che il rifiuto di sottoporsi agli esami del DNA è ingiustificato e dunque costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice ai sensi dell’art. 116 c.p.c., anche in assenza di prove di rapporti sessuali tra le parti, in quanto è proprio la mancanza di riscontri oggettivi certi e difficilmente acquisibili circa la natura dei rapporti intercorsi e circa l’effettivo concepimento a determinare l’esigenza di desumere argomenti di prova dal comportamento processuale dei soggetti coinvolti.