In caso di scioglimento dell’unione civile, al fine di individuare la durata del rapporto rilevante per il riconoscimento del diritto dell’assegno si considera anche al periodo di convivenza di fatto che ha preceduto la formalizzazione dell’unione?
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la recente sentenza del 27/12/2023, n. 35969, ha risposto in senso positivo.
Nel caso in esame, Tizia conveniva in giudizio Caia chiedendo lo scioglimento dell’unione civile con la stessa costituita il 17 dicembre 2016. Caia si costituiva chiedendo tuttavia il riconoscimento di un assegno, in considerazione dello squilibrio patrimoniale e reddituale esistente con l’attrice e dell’oggettivo peggioramento delle sue condizioni economiche.
Il Tribunale accoglieva la domanda di Caia prevedendo in suo favore un assegno, richiamando l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di assegno divorzile ed attribuendo rilievo assorbente alla funzione compensativa-risarcitoria, consistente nell’indennizzare l’avente diritto per la perdita di chances determinata dalla rinuncia a migliori opportunità di lavoro, in funzione dell’unità e dello svolgimento della vita familiare.
Tizia proponeva appello che veniva accolto. Nel merito, la Corte d’Appello reputava irrilevanti tutta una serie di eventi poiché verificatisi in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. 20 maggio 2016, n. 76, non avente efficacia retroattiva.
Avverso la predetta sentenza Caia proponeva ricorso per cassazione.
Con ordinanza del 27 gennaio 2003, la Prima Sezione civile, investita della decisione della controversia, ha disposto la trasmissione degli atti alla Prima Presidente, che ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, ai fini della risoluzione di una questione di massima di particolare importanza, avente ad oggetto la possibilità di valutare, ai fini del riconoscimento dell’assegno di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 6, nel caso di unione civile costituita ai sensi della L. n. 76 del 2016, art. 1 e della quale sia stato pronunciato lo scioglimento, i fatti intercorsi tra le parti anteriormente all’instaurazione dell’unione civile.
Infatti, nel caso in esame, Caia rilevava che le scelte da lei compiute anteriormente alla costituzione dell’unione civile per favorire la prosecuzione del rapporto affettivo già instaurato con Tizia, in quanto incidenti sulla sua situazione economica, avrebbero dovuto essere tenute in conto ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno, sia perché la posteriorità dell’entrata in vigore della L. n. 76 del 2016 non impedirebbe la valutazione di elementi fattuali pregressi, sia perché un’interpretazione di segno contrario comporterebbe effetti palesemente discriminatori a danno delle coppie omosessuali, alle quali, in epoca anteriore all’entrata in vigore della predetta legge, non era consentito di formalizzare giuridicamente un’unione stabile.
La Corte di Cassazione osserva come nella giurisprudenza di legittimità risulta già ampiamente presente il riconoscimento dell’unione di fatto quale modello di relazione familiare dalla cui instaurazione scaturiscono a carico dei conviventi obblighi di solidarietà morale e materiale destinati a riflettersi anche su quelli derivanti dal matrimonio, non solo nel senso di determinare l’estinzione o l’affievolimento del diritto all’assegno, in caso di coesistenza dei due rapporti, ma anche nel senso di giustificare una diversa valutazione della durata del vincolo coniugale, ove la costituzione dello stesso abbia fatto seguito, senza soluzione di continuità, ad un periodo di convivenza avente connotati di stabilità tali da consentire di ritenere che il matrimonio abbia rappresentato la formalizzazione di un rapporto già consolidato nella sua effettività.
Chiamata a pronunciarsi sulla specifica questione riguardante la possibilità di tenere conto della convivenza che ha preceduto l’entrata in vigore della L. 76/2016, la Corte ha chiarito che laddove venga esclusa la possibilità di prendere in considerazione tale periodo ai fini del riconoscimento e della liquidazione dell’assegno, si verificherebbe una frustrazione delle finalità perseguite dalla medesima legge, impedendo di tenere conto delle scelte (spesso determinanti anche per il futuro) compiute dalle parti nella fase iniziale del rapporto, in cui la convivenza ha dovuto necessariamente svolgersi in via di mero fatto per causa ad esse non imputabile, essendo all’epoca preclusa alle coppie omosessuali la possibilità di contrarre un vincolo formale.
La Corte di Cassazione precisa poi che negare rilevanza alla convivenza di fatto tra persone del medesimo sesso, successivamente sfociata nella costituzione di un’unione civile, per il solo fatto che la relazione ha avuto inizio in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 76 del 2016, si tradurrebbe inevitabilmente in una violazione dell’art. 8 della CEDU, oltre che in un’ingiustificata discriminazione a danno delle coppie omosessuali, il cui proposito di contrarre un vincolo formale non ha potuto concretizzarsi se non a seguito dell’introduzione della disciplina delle unioni civili, a causa della precedente mancanza di un quadro giuridico idoneo ad assicurare il riconoscimento del relativo status e dei diritti ad esso collegati.
Il principio di diritto enunciato è stato pertanto il seguente: “In caso di scioglimento dell’unione civile, la durata del rapporto, prevista dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiamato dalla L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 25, quale criterio di valutazione dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto all’assegno in favore della parte che non disponga di mezzi adeguati e non sia in grado di procurarseli, si estende anche al periodo di convivenza di fatto che abbia preceduto la formalizzazione dell’unione, ancorché lo stesso si sia svolto in tutto o in parte in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 76 cit.”.