A partire dall’ 8 marzo scorso, abbiamo assistito al susseguirsi di una serie di atti normativi (decreti del Presidente del Consiglio, del Ministero della Salute, ordinanza Regionali ecc.) che, nel tentativo di contenere l’epidemia in atto, hanno introdotto forti limitazioni alla libertà di movimento dei cittadini. Dapprima limitate a certi territori, poi estese a livello nazionale, e prorogate – almeno ad oggi – fino al prossimo 13 aprile (d.p.c.m. 1 aprile 2020).
Con ciò sollevando, come immaginabile, una serie infinita di dubbi e questioni con riguardo alle modifiche che tali atti normativi avrebbero determinato sulle modalità di frequentazione dei figli, da parte di genitori separati.
I primi due atti governativi (dd.pp.cc.mm. dell’ 8 e 9 marzo 2020), prevedevano anche delle eccezioni ai divieti di spostamento per “comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute”.
Successivamente, le due ordinanze del Ministero della Salute del 20 e 22 marzo 2020 hanno imposto il divieto “a trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati in comune diverso da quello in cui si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute”.
Il Governo aveva altresì chiarito, nelle faq pubblicate sul proprio sito, che gli spostamenti dei genitori per vedere i figli, in ottemperanza a provvedimenti giudiziari o accordi (omologati o no), fossero una valida eccezione ai divieti, potendo rientrare tra le “situazioni di necessità”. Dopo una copiosa sequenza di ordinanze regionali (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e altre) è intervenuto nuovamente il Governo, con il d.p.c.m. del 22 marzo 2020, che ha confermato il divieto «a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati dal comune in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute» (confermando altresì i contenuti del d.p.c.m.11 marzo 2020 e quelle di cui all’ordinanza del Ministero della Salute del 20 marzo 2020; sembrano invece non più vigenti le disposizioni dell’ordinanza del 22 marzo del Ministero della Salute di concerto con il Ministero degli Interni). Da ultimo (con il d.p.c.m. 1 aprile 2020), i vari atti normativi e le limitazioni in essi contenuti sono stati prorogati al 13 aprile 2020.
Sembrerebbe quindi, a prima vista, che l’ultimo decreto presidenziale abbia introdotto una differenza tra genitori che abitano nello stesso comune – per i quali nulla cambia, e che possono continuare a spostarsi per incontrare i figli, senza commettere alcun illecito, e genitori che invece risiedono in comuni diversi, ai quali ciò sarebbe vietato. Per essi, infatti, le uniche eccezioni al divieto di spostamento dovrebbero essere riconducibili alla “assoluta urgenza“. E la frequentazione dei figli non rientra in questa categoria. Mentre per i genitori residenti nello stesso comune, per i quali ancora vige il d.p.c.m. precedente, gli spostamenti per frequentare i figli sono giustificati in quanto rientrano nelle “situazioni dinecessità”. E se è certo (come previsto dalle FAQ) che il diritto di visita costituisca una necessità, non può invece considerarsi una assoluta urgenza. Con la conseguenza che ciò comporterebbe una disparità di trattamento inaccettabile per i figli degli uni e degli altri.
A questa prima babele di interventi, si sono aggiunte alcune ordinanze dei giudici, i quali, sollecitati ad intervenire per mettere ordine in una confusa rincorsa di atti normativi, hanno invece contribuito a crearne di ulteriore.
Il primo provvedimento è del Tribunale di Milano, dell’11 marzo il quale ha disposto che i genitori devono attenersi a quanto concordato in sede di separazione (o divorzio o cessazione della convivenza). Ha quindi chiarito che i diritti di visita rientrano tra le eccezioni (situazione di necessità) ai divieti di spostamenti: in sostanza, nessun genitore può impedire il diritto di visita dell’altro, invocando i provvedimenti di limitazione. Per farlo, deve ricorrere al giudice per chiedere la modifica dei provvedimenti in vigore, richiesta che dev’essere giustificata da situazioni particolari sopravvenute (in cui, per esempio, si ravvisi un pericolo specifico alla salute del minore nell’adempiere al diritto di visita).
E’ invece significativa la recente pronuncia del Tribunale di Bari (26 marzo 2020), laddove afferma che il diritto-dovere di genitori e figli di incontrarsi è “recessivo” rispetto alle limitazioni dettate da ragioni di salute. Quindi sospende i diritti di visita del padre, invitandolo ad utilizzare le video chiamate. L’ordinanza considera “due fondamentali diritti, entrambi di rango costituzionale, e si pone quindi il problema della compatibilità tra la tutela delle relazioni familiari” e “la tutela del diritto alla salute dei minori“. Disponendo che il secondo debba ritenersi assolutamente prevalente.
In conclusione, in attesa di indicazioni precise e univoche, non resta che avvalersi del buon senso e in caso di difficoltà sperimentare qualche sistema alternativo di soluzione (anche perché la risposta dell’Ordinamento giudiziario in questo periodo risente di difficoltà e lentezze maggiori del solito). In particolare, la Mediazione Familiare, che viene garantita da alcuni centri – sia pubblici che privati – anche in modalità virtuali, potrebbe rivelarsi, in assenza di altro, un valido supporto. Basta avere un buon collegamento e sperare di imbattersi in un mediatore di grande esperienza che possa aiutare a ridefinire nella attuale straordinaria emergenza, le norme pratiche di gestione dei minori. E magari non solo quelle, visto che le controversie di natura economica derivanti dal coronavirus, investiranno con buona probabilità un gran numero di famiglie.
Paola Ventura – p.ventura@lascalaw.com
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