21.07.2025 Icon

Processo agli enti: il PM deve indicare nel capo d’imputazione i protocolli violati e le cautele non adottate

Tra i principi cardine dell’ordinamento penale vi è quello per cui l’illecito attribuito all’imputato deve essere a lui descritto in maniera chiara, precisa e puntuale dal Pubblico Ministero.

Principio che è fondamentale per qualsiasi soggetto chiamato a rispondere in sede penale di un reato, atteso che la precisione del capo d’imputazione consente al reo di comprendere l’accusa a lui mossa e difendersi adeguatamente.

Proprio per tale ragione, il codice di procedura penale – in plurime disposizioni normative – sanziona con la nullità l’atto con cui il P.M. esercita l’azione penale indicando in modo generico la contestazione. Nullità che l’art. 429 c.p.p. estende anche al decreto del GUP che dispone il giudizio, laddove questo non indichi in forma chiara e precisa il fatto di reato oggetto del processo.

Il rispetto di detto onere di chiarezza è stato ribadito in plurime occasioni dalla giurisprudenza con riferimento al processo a carico di persone fisiche ma, recentemente, lo stesso è stato correttamente ribadito anche con riferimento alle contestazioni a carico di enti imputati ai sensi del D.Lgs. 231/2001.

L’ultima ordinanza in tal senso è quella emessa lo scorso 15 luglio 2025 dal Tribunale di Milano nel noto caso giudiziario che vede coinvolta Visibilia S.r.l., con cui i giudici meneghini hanno dichiarato nullo il capo d’imputazione contestato alla società ai sensi del D.Lgs. 231/2001.

L’ordinanza del Tribunale di Milano – che richiama ulteriori ordinanze emesse recentemente dai Tribunali di Biella e Firenze sullo stesso tema – ha evidenziato come la contestazione “penale” a carico dell’ente prende le mosse dal reato presupposto commesso nell’interesse o a vantaggio della società.

Di talché, ciò che viene contestato all’ente nell’ambito del giudizio penale è la mancata adozione o il mancato rispetto di cautele e protocolli volti a prevenire la commissione dell’illecito, i quali devono essere indicati (almeno per relationem) nel capo d’imputazione al fine di consentire alla società di difendersi nel corso del giudizio.

Nello specifico, si legge nell’ordinanza del Tribunale lombardo: “l’affermazione di responsabilità dipende dal legame tra il  reato commesso e un difetto gestionale specifico dell’ente. Come precisato anche da questo Tribunale nel motivare la sentenza n. 1070/2024, il controllo giudiziario della compliance è rivolto “ad escludere la reiterazione degli illeciti già commessi. Il modello organizzativo, cioè, non viene testato dal giudice nella sua globalità, bensi in relazione alle regole cautelari che risultano violate e comportano il rischio di reiterazione di reati della stessa specie. E all’interno di questo giudizio che occorre accertare la sussistenza della relazione causale tra reato, ovvero illecito amministrativo, e violazione dei protocolli di gestione del rischio. Sono le regole cautelari omesse o inefficaci, retrostanti alla consumazione del reato presupposto, a costituire l’elemento sostanziale della violazione del dovere di auto-organizzazione preventiva e l’oggetto precipuo del processo nei confronti dell’ente; devono essere quindi indicate nell’incolpazione in maniera chiara e precisa, onde consentire all’ente di comprendere quali siano le accuse da cui difendersi e al Tribunale di conoscere l’addebito a cui rapportare le proprie determinazioni, processuali e di merito: in senso conforme, si richiamano le ordinanze del Tribunale di Biella del 16.10.2024 e del Tribunale di Firenze del 30.5.2025”.

La mancata indicazione nel capo d’imputazione formulato a carico dell’ente delle cautele e dei protocolli violati (o non efficacemente attuati) determina, dunque, la nullità della contestazione.

Autore Andrea Caprioglio

Associate

Milano

a.caprioglio@lascalaw.com

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