01.09.2025 Icon

Diffamazione: la Cassazione chiarisce che gli insulti fatti tramite una “diretta” social integrano il reato

È un dato di fatto che i social network siano ormai diventati una parte integrante della vita delle persone, tanto da un punto di vista strettamente privato, quanto professionale. Strumenti digitali che hanno permesso – e permettono – a chiunque di condividere il proprio pensiero con una massa non predeterminabile di persone. Ciò anche tramite video realizzati “in diretta”.

Social e diffamazione: un fenomeno in crescita

È parimenti un dato di fatto che, all’aumento dell’uso dei social, si sono moltiplicati esponenzialmente anche i casi giudiziari riguardanti il delitto di diffamazione. Infatti, è purtroppo sempre più diffuso il mal costume degli utenti di utilizzare i social quale “valvola di sfogo”, tramite la pubblicazione di contenuti denigratori (video, commenti, foto, ecc.) a danni di terzi.

Il caso: offese trasmesse in diretta su TikTok

Proprio su tale tema è recentemente intervenuta la Suprema Corte di Cassazione (Cass. pen., Sez. V, sent. 12 agosto 2025, n. 29458), relativa ad un video denigratorio trasmesso “in diretta” tramite la piattaforma Tik Tok da una utente.

Nello specifico, il caso deciso dalla Cassazione riguardava una donna imputata per il delitto di diffamazione aggravata dal mezzo della stampa, in seguito alla realizzazione sul menzionato social network di un video condiviso “in diretta”, in cui pronunciava espressione offensive ai danni di un terzo che stava assistendo in tempo reale.

Le difese dell’imputata: non sarebbe diffamazione

A seguito della condanna da parte del Tribunale e della Corte di Appello, l’imputata proponeva ricorso per Cassazione, lamentando come la persona offesa avesse partecipato alla diretta e dunque avesse la possibilità di “ribattere” alle offese immediatamente tramite commenti, come se fosse stata alla presenza dell’imputata.

Circostanza che – secondo la ricorrente – escluderebbe la configurabilità del delitto di diffamazione ma, tuttalpiù, integrerebbe un’ingiuria, ormai depenalizzata.

La decisione della Cassazione: nessuna equivalenza tra diretta e presenza

La Corte ha rigettato il ricorso.

Segnatamente, gli ermellini, dopo aver analizzato proprio il concetto di “presenza” alla luce dei precedenti giurisprudenziali in tema di diffamazione, ha evidenziato che “al momento della trasmissione del video “in diretta”, la circostanza che la persona offesa vi abbia assistito, non consente di affermarne la presenza (…), atteso che la pur prevista possibilità di inserire contestualmente dei “commenti” alle immagini e alle frasi pronunciate nel video, costituisce uno strumento di interlocuzione limitato che non mette in rapporto diretto e paritario offensore e offeso e perciò non garantisce un contraddittorio immediato, reale ed effettivo”.

Interlocuzione limitata e assenza di contraddittorio reale

Ciò a maggior ragione, continua la Corte, considerando che “i video incriminati sono rimasti presenti sulla piattaforma social anche successivamente e sono stati visti e “condivisi” da numerose persone”.

Autore Stefano Gerunda

Lateral Partner

Milano

s.gerunda@lascalaw.com

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Autore Andrea Caprioglio

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