La recente pronuncia della Corte di Cassazione civile n. 17360 del 2025 segna un passaggio significativo nella definizione dei confini di responsabilità civile del gestore di un blog per i contenuti diffamatori pubblicati da terzi nei commenti: la Suprema Corte afferma con chiarezza che il gestore non è tenuto a un controllo preventivo generalizzato, ma può essere chiamato a rispondere se, dopo aver acquisito conoscenza concreta e circostanziata dell’illiceità di un commento — anche a seguito di una segnalazione non proveniente dalle autorità — non provvede tempestivamente alla sua rimozione.
Il caso concreto: commenti diffamatori ignorati per settimane
Il caso prende le mosse dalla pubblicazione, sul blog gestito dal convenuto, di commenti ingiuriosi e diffamatori nei confronti di un esponente politico locale; la persona offesa aveva individuato la pagina e aveva formalmente richiesto la rimozione del materiale offensivo, che tuttavia rimase online per diverse settimane aggravando l’esposizione pubblica della persona. Dopo il rigetto delle pretese risarcitorie in primo grado e in appello, la controversia è approdata in Cassazione con il nodo centrale incentrato sull’esistenza o meno di un obbligo in capo al gestore del blog di attivarsi in seguito a una segnalazione espressa e circostanziata.
Il principio di diritto: segnalazione chiara impone rimozione
La Corte, pur distinguendo il ruolo del gestore da quello del provider professionale soggetto alla disciplina del d.lgs. 70/2003, individua un criterio operativo che armonizza l’esenzione prevista per l’hosting provider con l’esigenza di tutela della reputazione: il titolare di uno spazio partecipativo che non svolge attività editoriale professionale non è soggetto a un obbligo di monitoraggio preventivo dei contributi altrui, ma è tenuto ad intervenire tempestivamente quando riceva una segnalazione chiara, motivata e idonea a rendere manifesta l’illiceità del contenuto.
Il principio di diritto: segnalazione chiara impone rimozione
La fonte della segnalazione non è decisiva in quanto tale: la comunicazione da parte delle autorità costituisce una fonte “qualificata” ma non esclusiva della conoscenza; ciò che conta è la certezza o l’evidenza dell’illiceità che impone l’obbligo di rimozione per continuare a godere dell’esenzione dalla responsabilità.
Quando la mancata rimozione diventa responsabilità civile
L’omessa rimozione, ove il gestore abbia capacità tecnica e materiale di intervenire e abbia acquisito consapevolezza dell’illiceità, può configurare acquiescenza consapevole e costituire fonte autonoma di responsabilità aquiliana.
La pronuncia riequilibra libertà di espressione e doveri di vigilanza: non impone una censura preventiva, ma obbliga il gestore dello spazio a intervenire quando riceve segnalazioni circostanziate di illiceità, sotto pena di responsabilità per i danni derivanti dalla persistenza dei contenuti.
Libertà d’espressione e reputazione: la nuova linea di equilibrio
Resta ora da osservare come i giudici di merito recepiranno e applicheranno questo orientamento nelle concrete fattispecie e quale impatto avrà sull’eventuale adeguamento normativo delle piattaforme digitali non professionali; quel che è certo è che la sentenza invita a un riequilibrio che tutela la libertà di espressione senza lasciare indifesi i diritti alla reputazione nei contesti digitali.
 
                                     24.03.2025
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