25.09.2025 Icon

Violazione della prelazione: inefficacia, ma a che condizione?

La cessione a terzi di quote di società di capitali effettuata in violazione della clausola di prelazione statutaria non comporta automaticamente l’inefficacia del negozio traslativo, ma richiede che il socio pretermesso dimostri la lesione del suo effettivo interesse all’acquisto della quota ceduta.

In tal senso si è recentemente espresso il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 1490/2025, pronunciata al termine di un giudizio sorto tra soci di una S.r.l. relativo alla validità ed efficacia di un trasferimento di quote, poi conclusosi con l’integrale rigetto delle domande attoree.

Più precisamente, due soci della S.r.l. citavano in giudizio sia la socia che aveva ceduto le sue quote ai nipoti sia questi ultimi adducendo che il trasferimento fosse stato eseguito in violazione della clausola statutaria, poiché nella comunicazione inviata ai soci-attori non era comunicato il nominativo dell’acquirente né era indicato che la quota sarebbe stata ceduta in maniera frazionata e a più persone. Per di più, i soci-attori riferivano che se avessero conosciuto l’identità degli acquirenti e la frazionabilità della partecipazione della cedente, ne avrebbero valutato l’acquisto.

Previa affermazione della legittimazione attiva dei soci-attori (oltre che, eventualmente, della società) ad agire avverso i predetti trasferimenti, il Tribunale si concentrava quindi sul tema della clausola di prelazione statutaria.

Tale clausola – spesso inserita all’interno degli statuti societari – è espressione di quelle norme che limitano la circolazione delle partecipazioni nelle società di capitali, poiché volta ad impedire (o, quantomeno, limitare) l’ingresso di nuovi soci nella compagine sociale. A tal fine, di regola, essa prevede che il socio che intenda trasferire la propria partecipazione è prima obbligato ad informare gli altri soci di tale volontà (cd. denuntiatio) e, qualora questi fossero interessati, a preferirli, a parità di condizioni, al terzo potenziale acquirente.

La violazione della clausola di prelazione non comporta, tuttavia, la dichiarazione di nullità o di inefficacia assoluta dell’atto di trasferimento, bensì la sua inefficacia relativa, invocabile dalla società e dai soci pretermessi, ai quali non viene, tuttavia, consentito il riscatto della quota, ma solamente il diritto di agire sul piano risarcitorio.

Sul punto, il Tribunale osservava che “la cessione a terzi di quote sociali in violazione della clausola statutaria di prelazione … non determina ipso iure [e, quindi, in automatico] la perdita di efficacia” della stessa, che, per contro, deve essere fatta valere dal socio pretermesso, il quale deve anche provare di aver effettivamente subito una lesione di un suo interesse, non potendo solamente allegare la presenza di una clausola di prelazione all’interno dello statuto. In altre parole, “il socio pretermesso non può limitarsi a dimostrare l’esistenza della clausola statutaria, ma deve anche allegare e provare che dalla violazione è derivata una lesione del suo interesse a rendersi acquirente delle azioni trasferite a terzi, non potendosi individuare un interesse del socio al mero rispetto del procedimento di cessione”.

Applicando tali principi al caso in commento, il Tribunale rilevava che, seppure la comunicazione effettuata dalla socia-cedente fosse imprecisa, i soci-attori non avevano manifestato alcuna volontà di acquistare le quote oggetto di cessione né hanno poi dimostrato, in corso di giudizio, che l’irregolarità della denuntiatio abbia leso il loro interesse al predetto acquisto.

Autore Matteo Rebecchi

Associate

Bologna

m.rebecchi@lascalaw.com

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