11.09.2025 Icon

Gestione in perdita: il conto lo paga l’amministratore

L’amministratore che, nonostante l’intervenuta perdita integrale del capitale sociale, prosegua la gestione caratteristica dell’impresa assumendo nuove e gravose obbligazioni con conseguenze pregiudizievoli per i creditori, è tenuto a rispondere personalmente dei danni così arrecati.

L’amministratore risponde del dissesto aggravato

In questo senso si è pronunciato il Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di Impresa, con un’ordinanza del 18 gennaio scorso sulla responsabilità dell’amministratore per la prosecuzione dell’attività sociale in presenza di cause di scioglimento. Il provvedimento con cui è stato concesso un sequestro conservativo sui beni dell’ex amministratore offre importanti spunti sull’individuazione del danno risarcibile e sulla valutazione del periculum in mora in capo all’organo gestorio.

La condotta contestata: cinque anni in perdita

Nel caso di specie, la Liquidazione giudiziale di una S.r.l. ha proposto ricorso cautelare nei confronti dell’ex amministratore unico. A fondamento dell’azione sono stati dedotti molteplici addebiti, tra i quali la prosecuzione della gestione sociale per un arco temporale di circa cinque anni, nonostante il patrimonio netto risultasse già negativo alla data di chiusura dell’esercizio 2016, omettendo pertanto sia di procedere a un’adeguata ricapitalizzazione, sia di porre la società in stato di liquidazione. In particolare, è stata oggetto di specifica contestazione la sottoscrizione di un accordo transattivo che obbligava la società, ormai palesemente insolvente, al pagamento di una somma pari a 900.000 euro. L’inevitabile inadempimento ha generato una condanna giudiziale a carico della società il cui importo, lievitato a causa di interessi e spese legali, ha ulteriormente aggravato il passivo sociale.

L’obbligo di gestione conservativa ex art. 2486 c.c.

Il Tribunale ha ritenuto integrato il requisito della probabile fondatezza della pretesa risarcitoria (fumus boni iuris) quale presupposto per la concessione della misura cautelare del sequestro evidenziando come, a fronte dell’intervenuta perdita del capitale sociale, l’amministratore avesse il dovere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, così come previsto dall’art. 2486 c.c.. La prosecuzione dell’attività d’impresa, ed in particolare la sottoscrizione di un nuovo e oneroso accordo contrattuale, è stata qualificata come evidente violazione dell’obbligo in questione, nonché come operazione priva di alcuna utilità per una società già in stato di dissesto, risultando anzi causa di ulteriore aggravio dell’indebitamento a detrimento della massa creditoria.

La misura del danno: contano anche interessi e spese

Di particolare interesse è la quantificazione del danno posta a fondamento della misura cautelare. La Liquidazione giudiziale ha infatti parametrato la propria richiesta non all’intera obbligazione sorta dall’accordo transattivo, ma al solo aggravio del passivo derivante dall’inadempimento: un importo pari a oltre 350.000 euro, corrispondente agli interessi moratori ed alle spese legali liquidate nella sentenza di condanna. Il Tribunale ha condiviso questa prospettiva, riconoscendo che tale pregiudizio economico avrebbe potuto essere evitato.

Pericolo di dispersione del patrimonio e irreperibilità

Oltre al fumus, il Giudice ha ravvisato anche il periculum in mora, ovvero il fondato timore che, nel tempo necessario per definire il giudizio di merito, l’ex amministratore potesse disperdere il proprio patrimonio. Tale pericolo è stato desunto sia da elementi soggettivi, come la condotta pregressa dell’amministratore (omesso deposito di diversi bilanci) e la sua scelta di rendersi irreperibile nel procedimento cautelare, sia da elementi oggettivi, quali l’esiguità del patrimonio a lui intestato a fronte dell’elevato ammontare del danno lamentato.

Una responsabilità personale per mala gestio in perdita

In conclusione, l’ordinanza del Tribunale di Milano ribadisce con chiarezza il principio secondo cui la gestione di una società in stato di decozione, in violazione degli obblighi di gestione conservativa, esponga l’amministratore a una responsabilità diretta per l’aggravamento del dissesto. Tale danno può essere concretamente individuato non solo nelle nuove passività sorte, ma anche negli oneri accessori, come interessi e spese legali, che rappresentano un pregiudizio diretto e quantificabile per la massa dei creditori.

Autore Giuseppe Agostino Gasparo

Associate

Milano

g.agostinogasparo@lascalaw.com

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