Nel caso in cui un socio receda da una s.r.l. e vi sia disaccordo sulla determinazione del valore di liquidazione della quota di partecipazione sociale, tale determinazione, effettuata tramite perizia giurata, è vincolante e impugnabile solo se manifestamente iniqua o erronea.
In tal senso si è pronunciato il Tribunale di Torino con sentenza emessa il 12 marzo 2024, all’esito di un procedimento volto alla rettifica della determinazione del valore della quota di partecipazione sociale effettuata dal perito nominato dal Tribunale ex art. 2473 c.c..
Nel caso di specie, la società attrice, detentrice di una quota della s.r.l. convenuta, aveva esercitato il diritto di recesso previsto dall’art. 2473 c.c. nonché dallo statuto della società medesima e, in ragione del fatto che gli amministratori della società non avevano determinato il valore di mercato della quota partecipativa in oggetto nei termini previsti dallo statuto, aveva chiesto ed ottenuto la quantificazione della stessa da parte di un esperto nominato dal Tribunale ai sensi dell’art. 2473, co. 3 c.c..
La norma, infatti, prevede che in caso di disaccordo nella determinazione del valore della quota detenuta dal socio recedente, detta determinazione sarà “compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale”.
Parte attrice lamentava l’errata determinazione del valore della quota operata dall’esperto. In particolare, essa riteneva che la perizia fosse manifestamente iniqua ed erronea poiché non teneva conto dell’operazione di aumento di capitale che ha determinato il recesso, così come altre operazioni societarie.
Il Tribunale, tuttavia, riteneva infondate le domande formulate da parte attrice, ribadendo che l’esperto, in mancanza di diversa pattuizione tra i soci, opera come arbitratore, dovendo, dunque, le parti rimettersi al suo equo apprezzamento e avendo, queste ultime, facoltà di contestare la stima dell’esperto limitatamente ai casi di valutazione manifestamente erronea o manifestamente iniqua, come previsto dall’art. 1349 c.c., richiamato dall’art. 2473 c.c.
Nello specifico, la prima ipotesi si configura quando la valutazione è “basata su ragionamenti caratterizzati da contraddittorietà tra premesse e conclusioni e/o fondata su dati di fatto manifestamente errati e/o inficiata da errori di calcolo evidenti”, la seconda quando ricorre “un’obiettiva sproporzione tra prestazioni, tale da ingenerare una lesione ultra dimidium, secondo il canone ricavabile dall’art. 1448 c.c.”; tuttavia, nessuna delle due ipotesi era rinvenibile nel caso in commento.
Inoltre, nel motivare la sua decisione, il Tribunale – ribadendo l’infondatezza della tesi di parte attrice nel punto in cui lamentava che l’esperto non avesse tenuto conto, ai fini della determinazione del valore della quota, dell’aumento di capitale compiuto dalla società convenuta successivamente al ricevimento della sua comunicazione di recesso – ricordava che “la valutazione della quota di recesso deve essere fatta assumendo a riferimento la situazione della società a monte e non a valle dell’operazione straordinaria”.
In ragione di ciò, l’esperto correttamente non aveva tenuto conto delle operazioni societarie avvenute successivamente alla data di esercizio del diritto di recesso attuato da parte attrice.
Il socio receduto, infatti, “non può beneficiare né essere pregiudicato dei possibili effetti positivi o negativi derivanti proprio dall’operazione a causa della quale egli ha deciso di dissociarsi dal vincolo societario” e, allo stesso modo, “non può beneficiare degli effetti di un’operazione successiva alla situazione in base alla quale ha deciso il proprio exit”. Diversamente, infatti, il socio recedente finirebbe col trarre un indebito vantaggio dalle utilità sopravvenute rispetto al momento in cui ha esercitato il recesso.
24.10.2025