Con la recentissima pronuncia in commento, l’Arbitro per le Controversie Finanziarie torna sul tema delle obbligazioni CMC, uno dei più noti e importanti general contractor italiani. Nel 2018, la c.d. CMC Ravenna, ha richiesto di essere sottoposta alla procedura ex art.161 della Legge Fallimentare a seguito di una grave crisi finanziaria. Per tale motivo, molti obbligazionisti della stessa – investitori più o meno qualificati, – hanno adito i Tribunali e gli Arbitri per domandare il risarcimento delle perdite subite a causa dei propri investimenti.
È il caso della ricorrente nella decisione dell’ACF in analisi, la quale, nel corso del 2017, ha acquistato quattro obbligazioni CMC per un controvalore complessivo di € 400.000,00. Nel proporre ricorso, parte ricorrente contestava l’inadeguatezza e la non appropriatezza di tali operazioni rispetto al suo livello di conoscenze ed esperienze in materia di investimenti finanziari al momento della sottoscrizione, nonché rispetto alla sua propensione al rischio. La ricorrente, dunque, previo accertamento della nullità, annullamento o risoluzione degli acquisti contestati, chiedeva la condanna dell’intermediario alla restituzione del capitale investito.
In particolare, le contestazioni rivolte all’intermediario riguardavano la carenza di informazioni esaustive circa le caratteristiche e la rischiosità dei titoli CMC, nonché sulla grave situazione finanziaria in cui versava l’emittente di tali titoli, avendo anche riguardo alla carenza di informazioni nella fase successiva di detenzione dei titoli stessi.
L’intermediario resistente confutava la sussistenza di un danno risarcibile in relazione alle prime tre operazioni oggetto del ricorso, rilevando come la ricorrente avesse conseguito un guadagno dalla vendita dei titoli acquistati nelle predette operazioni. Negava, altresì, di avere violato alcuna regola di condotta nella prestazione dei servizi di investimento e precisava che la ricorrente aveva sottoscritto un valido contratto quadro in forma scritta nel 2016.
Inoltre, riferiva che le operazioni contestate non erano state oggetto di consulenza ma erano state impartite dalla ricorrente di sua autonoma iniziativa.
Tali operazioni, pertanto, dovevano ritenersi adeguate al profilo della ricorrente. A questo proposito, veniva evidenziato come la ricorrente fosse un’investitrice dal profilo evoluto, con un livello elevato di conoscenza ed esperienza in materia di investimenti e una propensione al rischio altrettanto elevata. Tale profilo era, altresì, confermato da un’operatività pregressa caratterizzata da numerose operazioni di investimento in azioni, in ETC, in ETF e in obbligazioni, anche di natura subordinata.
Su quest’ultimo punto, ferma l’opinione del Collegio, secondo cui la ricorrente “sottoscrivendo i questionari MiFID di cui si discute, si è assunta la paternità delle informazioni contenute in questi documenti”.
Con riguardo alla nullità dei singoli ordini di investimento contestati, la Consob si è orientata in conformità all’interpretazione dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nelle sentenze n. 26724 e 26725 del 19 dicembre 2007, ossia, “che la mera violazione di una regola di condotta, quale la raccomandazione di un’operazione inadeguata o la mancata corretta informazione sulle caratteristiche e i rischi di uno strumento finanziario, non comporti di per sé la nullità dell’operazione”. Peraltro, afferma il Collegio, “il profilo evoluto della ricorrente emergente dai predetti questionari di profilatura è pienamente confermato dalla sua operatività pregressa […]. Pertanto, si deve ritenere che l’operazione d’investimento disposta dalla ricorrente il 9 novembre 2017 era adeguata al suo profilo”.
Con riferimento, poi, alla dedotta annullabilità degli ordini di investimento, l’ACF ha rilevato come la ricorrente non abbia dimostrato né l’esistenza del dolo né la sussistenza di un errore essenziale e riconoscibile.
Nel caso di specie, dunque, il Collegio ha ritenuto che non vi fossero elementi sufficientemente gravi, precisi e concordanti per ritenere che le informazioni contenute nei questionari MiFID sottoscritti dalla ricorrente (relativi ad un’alta conoscenza ed esperienza in materia di investimenti di quest’ultima, nonché relative al suo profilo di rischio), fossero manifestamente inesatte o incomplete.
In conclusione, nonostante l’intermediario non abbia dunque provato di avere informato la ricorrente sulle caratteristiche e sulla rischiosità delle obbligazioni in occasione della predetta operazione, il Collegio ha ritenuto che la ricorrente “fosse o dovesse comunque essere pienamente consapevole delle caratteristiche e della rischiosità dei titoli che ha acquistato”, respingendo così il ricorso per carenza di nesso di causalità tra gli inadempimenti imputabili al resistente e il danno.
ACF – Decisione n. 5379 del 3 maggio 2022
Federica Mendolia – f.mendolia@lascalaw.com
Marta Casile – m.casile@lascalaw.com
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