Con la sentenza n. 4929 del 6 giugno 2025, il Consiglio di Stato ha affrontato in modo approfondito due questioni centrali: la possibilità per l’amministrazione di opporre alla richiesta di accesso agli atti difficoltà tecniche legate alla gestione algoritmica dei dati e i principi che governano l’uso dell’IA nei procedimenti amministrativi.
Accesso ai dati sugli aiuti percepiti
La vicenda trae origine dal ricorso proposto da alcuni comproprietari di terreni, i quali avevano appreso, a seguito della scomparsa del coerede, che su detti fondi un soggetto terzo vantava diritti in qualità di asserito affittuario.
Per tale motivo i comproprietari formulavano all’Ente locale istanza di accesso agli atti, finalizzata all’ottenimento di documentazione relativa alla natura e all’entità dei contributi ed aiuti a qualsiasi titolo richiesti ed incassati dal terzo affittuario a decorrere dal 2015.
In relazione all’interesse all’accesso richiesto, le ricorrenti evidenziavano la necessità di acquisire tale documentazione, dichiarando di voler convenire in giudizio il terzo per il risarcimento dei danni derivanti dall’illegittima conduzione dei fondi di loro proprietà.
Il TAR riconosce il diritto di accesso per finalità difensive
Il TAR Sardegna, a definizione del giudizio di primo grado, aveva parzialmente accolto la domanda, riconoscendo il diritto di accesso ai dati relativi agli aiuti percepiti, sul presupposto che questi rientrassero nella sfera patrimoniale e fossero pertanto suscettibili di ostensione, anche a fronte dell’opposizione del controinteressato.
L’appello dell’Ente: automatismi e limiti all’ostensione
L’Ente regionale proponeva quindi appello, sollevando tre motivi di impugnazione: l’impossibilità tecnica di estrarre i dati per via della gestione algoritmica affidata al SIAN; la violazione degli artt. 22 e 24 L. 241/1990 e dei regolamenti comunitari; l’ultrapetizione del TAR.
In particolare, con il primo motivo l’Ente locale aveva sostenuto l’ impossibilità di ottenere i dati richiesti, in quanto i contributi venivano amministrati mediante l’applicazione di algoritmi interamente gestiti in forma automatizzata a livello informatico centrale presso il Sistema integrato di gestione e controllo; per poter estrapolare tali dati sarebbe stato necessario incaricare il Raggruppamento temporaneo di imprese, il quale avrebbe provveduto all’elaborazione dietro pagamento di un compenso.
L’IA non può ostacolare la trasparenza amministrativa
Chiamato a decidere della questione, il Consiglio di Stato ha respinto integralmente il gravame. In primo luogo, ha chiarito che l’Ente locale, in qualità di organismo pagatore riconosciuto dalla normativa comunitaria, detiene competenza primaria sulla gestione dei contributi e non può sottrarsi all’obbligo di ostensione invocando difficoltà tecniche legate a sistemi automatizzati di intelligenza artificiale. Eventuali costi di riproduzione restano a carico del richiedente, ma non possono costituire motivo di diniego.
I principi giuridici sull’uso dell’intelligenza artificiale nella PA
Di particolare rilievo è poi il passaggio in cui i giudici di Palazzo Spada affrontano il tema della gestione algoritmica delle procedure, richiamando sia la giurisprudenza che il quadro normativo aggiornato.
In proposito, i giudici amministrativi hanno evidenziato come l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale, da intendersi quale modulo procedimentale per lo svolgimento dell’attività autoritativa in modalità più efficienti, deve coordinarsi con una serie di principi ermeneutici ed applicativi tesi a garantire l’operatività del sistema e la tutela dei diritti e degli interessi coinvolti.
Nello specifico, vengono evidenziati tre principi cardine: conoscibilità e comprensibilità, non esclusività della decisione algoritmica e non discriminazione algoritmica.
Conoscibilità, controllo umano e tutela contro la discriminazione
Più nel dettaglio, il primo si regge sul presupposto che l’operatore economico ha diritto a sapere se è coinvolto in processi decisionali automatizzati e a ricevere informazioni significative sulla logica seguita dagli algoritmi; il secondo sulla circostanza che la decisione finale non può essere affidata in modo esclusivo al sistema automatizzato, dovendo sempre essere previsto un controllo umano; il terzo, infine, sull’obbligo dell’amministrazione di adottare misure adeguate per prevenire effetti discriminatori nell’uso degli algoritmi.
Algoritmi e obbligo di accesso: nessun alibi tecnologico
Alla luce di tali principi, il Consiglio di Stato, nell’esaminare il primo motivo, ha affermato che l’utilizzo di sistemi automatizzati non può essere invocato come ostacolo all’accesso agli atti, diritto che costituisce diretta espressione del principio di trasparenza e che impone la conoscibilità da parte della pubblica amministrazione dei meccanismi informatici di gestione.
Interesse concreto, legittimità dell’accesso e rigetto del ricorso
I giudici amministrativi, respinto dunque il primo motivo di ricorso, in relazione al secondo motivo, hanno riconosciuto l’interesse concreto ed attuale degli istanti originari, richiamando l’Adunanza plenaria n. 4/2021 sull’accesso difensivo e hanno ritenuto infondato il terzo motivo relativo alla presunta ultrapetizione.
Pertanto, il ricorso è stato integralmente rigettato con conseguente condanna alle spese per l’Ente locale.
Tecnologia e diritti: il Consiglio di Stato fissa un principio-guida
La pronuncia in commento si distingue per l’affermazione di un principio di grande impatto sistemico: la gestione algoritmica non può costituire un alibi per eludere gli obblighi di trasparenza e accesso. In un contesto di crescente digitalizzazione della pubblica amministrazione e di utilizzo sempre più esteso dell’intelligenza artificiale, il Consiglio di Stato ribadisce che tecnologia e diritti devono procedere in equilibrio, con la garanzia che i processi automatizzati restino comprensibili, controllabili e non discriminatori.