23.06.2025 Icon

Conoscere per giudicare e vedere per condannare: la proposta Sciascia-Tortora verso una magistratura più consapevole

Un periodo di tirocinio di almeno quindici giorni da svolgere all’interno di un istituto penitenziario, con pernottamento obbligatorio, e un percorso formativo che valorizzi la produzione letteraria e giuridica incentrata sul ruolo della giurisdizione quale garanzia dei diritti fondamentali e delle libertà costituzionali.

È il cuore della proposta di legge n. 2060, nota come Sciascia-Tortora, che mira a riformare in profondità la formazione della magistratura, coniugando competenze tecniche e consapevolezza etica.

A quarantadue anni dall’arresto di Enzo Tortora, il suo nome torna all’interno del dibattito istituzionale, affiancato a quello di Leonardo Sciascia: due figure emblematiche di un’idea di giustizia fondata sulla riflessione e sul rispetto della persona. Oggi, i loro nomi sostengono una proposta che intende ridurre il margine d’errore nel processo decisionale, rafforzando la responsabilità individuale di chi giudica.

Il progetto promuove due diversi interventi, complementari, con l’obiettivo di sensibilizzare i magistrati sulle vere condizioni delle carceri italiane e sull’impatto delle loro decisioni. Da un lato, è previsto un periodo obbligatorio di permanenza negli istituti penitenziari per i magistrati ordinari in tirocinio, concepito come esperienza di osservazione diretta e confronto con la realtà detentiva. Dall’altro, la modifica al d. lgs. 160/2006 che arricchisce il percorso concorsuale del magistrato con l’introduzione di contenuti attinenti alla dimensione etica e culturale della giustizia, con particolare attenzione alla letteratura giuridica, al diritto penitenziario e al ruolo della giurisdizione come garanzia dello Stato di diritto e della dignità della persona.

La previsione di un’esperienza immersiva all’interno delle carceri nasce dall’esigenza di formare un giudice consapevole della portata afflittiva delle proprie decisioni. Un passaggio formativo che, pur breve, ha un valore simbolico e pedagogico rilevante: contribuisce a sviluppare un approccio più umano e responsabile all’idea di pena.

Non si tratta di una novità assoluta nel panorama delle riflessioni sulla formazione giudiziaria. Già nel 1983, Leonardo Sciascia – all’indomani dell’arresto di Tortora – sollevava la questione della responsabilità nel giudicare, suggerendo che ogni giovane magistrato dovesse conoscere, anche solo per pochi giorni, le condizioni del carcere, per comprendere, oltre la teoria, la portata concreta della privazione della libertà personale.

In linea con questo approccio, anche il Presidente emerito della Corte costituzionale, Valerio Onida, auspicava un modello formativo ispirato all’esperienza francese della Scuola della Magistratura di Bordeaux, dove i magistrati in formazione condividono alcune giornate con la Polizia e con i detenuti, per acquisire una visione più completa del contesto in cui saranno chiamati a operare.

La proposta Sciascia-Tortora si inserisce dunque nel solco di un dibattito ormai maturo. L’idea è chiara: solo attraverso un contatto diretto con il mondo che il diritto regola – e spesso astrae – si può costruire una giustizia più equa, più umana e consapevole.

Autore Stefano Gerunda

Lateral Partner

Milano

s.gerunda@lascalaw.com

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Autore Giulia Gritti

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