18.04.2023

Debito, spesa per interessi record da 1.398 euro a testa

  • Il Sole 24 Ore

Il Def 2023 da ieri all’esame del Parlamento prospetta una netta correzione dei conti per i prossimi anni, che conferma il ritorno dell’avanzo primario dal 2024 e lo conduce nel 2026 a un livello, il 2% del Pil (circa 45 miliardi) che non si vedeva da quel 2012 in cui il governo Monti mise sul piatto gli ingredienti di una cura da cavallo per portare i nostri conti pubblici lontani dall’area criticissima in cui erano finiti.

La ragione di questa «scelta», in larga parte obbligata, è nei numeri. E in un numero in particolare, quello che misura la dinamica delle spese per interessi sul debito.

Una rapida rassegna delle cifre, messe a confronto con quel che succede negli altri Paesi, basta a misurare i termini della questione. L’Italia, spiega il nuovo programma di finanza pubblica, spenderà per interessi sul debito il 4,1% del Pil nel 2024, dopo la breve tregua di quest’anno (3,7% grazie all’inflazione un po’ più leggera che riduce i costi dei titoli indicizzati), il 4,2% nel 2025 e il 4,5% nel 2026.

Tradotta in euro, la corsa della spesa suona così: 75,6 miliardi quest’anno, 85,2 il prossimo, 91,6 miliardi e 100,6 nei due anni successivi. Somma enorme, tanto più se confrontata con quelle che per esempio il bilancio dello Stato dedica all’istruzione (52,1 miliardi), alle politiche sociali e alla famiglia (60,7 miliardi), al lavoro (19,4 miliardi), allo sviluppo delle imprese (40,7 miliardi) o all’energia (20,5 miliardi).

Per restare al 2024, significa che statisticamente il costo delle cedole dei BTp vale 1.398,1 euro per ogni italiano, compresi i neonati (sempre meno numerosi, e anche questo è un problema per il debito).

Sia in termini pro capite, sia in rapporto al Pil, la spesa per interessi italiana non conosce rivali in Europa e nel resto del mondo sviluppato. Nel continente, oltre a noi solo la Francia spende più di mille euro a testa (1.245,2), e questo aiuta a spiegare la scelta dell’Eliseo di portare avanti la riforma delle pensioni nonostante le forti tensioni sociali anche se a Parigi il peso sia della previdenza (13,6% del Pil) sia del debito pubblico (111,6% del Pil) siano largamente inferiori a quelli di Roma.

Lontanissimi sono i dati di tutti gli altri Paesi: dalla Spagna, dove gli interessi valgono 664,8 euro ad abitante (2,2% del Pil), fino ovviamente alla Germania (385,6 euro a cittadino, lo 0,8% del Pil), in un viaggio che passa anche dalla Grecia dove la spesa dopo la ristrutturazione del debito non supera il 3% del prodotto (660,5 euro pro capite). In questa geografia, gli interessi sui titoli di Stato italiani si collocano a un soffio dal doppio della media europea (715,5 euro) in termini procapite e ben oltre al doppio del dato dell’Unione (1,9%) nel rapporto con il prodotto interno lordo.

Il primato italiano non vacilla nemmeno quando si esce dai confini europei e si raggiungono gli Stati Uniti, che sono superindebitati (129% del Pil), hanno appena sentito risuonare sul tema l’allarme lanciato dal Congresso, ma pagano per interessi sui Treasury bond 315,5 miliardi di dollari l’anno: che sono l’1,35% del Pil e valgono per ogni americano 950,6 dollari, cioè 856 euro.

La responsabilità di questi numeri non è ovviamente del governo Meloni, che si trova a gestire le conseguenze di una dinamica di lungo periodo come i suoi predecessori ma a differenza di loro lo deve fare nel contesto radicalmente cambiato dalla politica monetaria restrittiva avviata dalla Bce per combattere l’inflazione.

I dati sulla spesa per interessi sono efficaci nello spiegare l’agitazione che in Italia si accende molto più che altrove di fronte ai rialzi dei tassi decisi a Francoforte, che nei fatti si traducono in una prigione strettissima per qualsiasi opzione di politica economica.

Un quadro del genere comprime gli spazi sia nel breve periodo, a partire dall’autunno quando si dovrà costruire la manovra, sia nel lungo, dal momento che irrigidisce il bilancio pubblico con una spesa fissa e incomprimibile perché generata da fattori che sono fuori dal controllo del governo.